2009-06-02 15:53:35

Domani Obama in Medio Oriente. Sale l'attesa per il discorso al mondo musulmano


Cresce l’attesa in tutto il mondo arabo per il discorso che il presidente statunitense Barack Obama pronuncerà giovedì al Cairo, nell’ambito della sua missione in Medio Oriente. Il viaggio del capo della casa Bianca comincerà domani dall’Arabia Saudita e si concluderà con la tappa europea nel fine settimana. Anticipando alcuni temi del suo discorso, Barak Obama ha confidato di sperare di vedere progressi nelle relazioni con l'Iran entro la fine dell'anno, ma al centro di tutto sarà anche il rilancio del processo di pace israelo-palestinese. Sull’importanza del discorso del presidente statunitense al mondo arabo, Stefano Leszczynski ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di Relazioni internazionali e di Storia del Medio oriente all’Università di Firenze:RealAudioMP3

R. - Sarà, probabilmente, un discorso indirizzato ai giovani, del mondo arabo e del Medio Oriente, sia perché questo è un presidente giovane che si pone immediatamente come cambiamento percepibile, sia perché il Medio Oriente è una regione con un alto tasso di popolazione giovane. E se questo è probabilmente esplicito, meno esplicita sarà la coincidenza elettorale straordinaria: può darsi che sia anche un discorso che voglia toccare la questione elettorale in Libano - dove si vota il 7 giugno sia pure in uno schema di elezioni confessionali - e poi soprattutto in Iran, dove si vota il 12 giugno, e dove le elezioni sono estremamente incerte perché l’astensionismo questa volta dovrebbe essere ridotto e questo non favorisce Ahmadinejad.

 
D. - Si nota, insomma, una certa apprensione da parte di Israele, quasi una paura che il proprio più prezioso alleato stringa legami di amicizia con coloro che sono considerati i nemici storici di Israele…

 
R. - E’ una paura molto forte, anche perché gli israeliani tendono a dimenticare che il maggiore alleato dalla Seconda Guerra mondiale degli Stati Uniti in Medio Oriente è stato l’Arabia Saudita. I problemi sono essenzialmente due: la valutazione da dare alla questione dell’Iran - che per Israele è assolutamente prioritaria - più che la trattativa di pace con i palestinesi. Invece, da parte americana si vogliono, su questa strada del processo di pace, dei passi veri, immediati e soprattutto misurabili e la misurazione degli americani avviene sul congelamento totale degli insediamenti nella West Bank, che Israele avversa sopra ogni cosa.

 
D. - Sul fronte palestinese, il presidente Obama cerca di sostenere l’idea di uno Stato sovrano…

 
R. - Certamente, gli americani spingono sull’aspetto dei due Stati e quindi di uno Stato palestinese, anche perché questa è da sempre, più o meno, sulla carta, l’idea di tutta la comunità internazionale.

 
D. - E’ possibile il paradosso per cui questa missione diplomatica e la nuova confidenza data dagli Usa ai Paesi arabi possa ritorcersi effettivamente contro Israele?

 
R. - L’isolamento di Israele, se c’è e se ci sarà, è giocato esclusivamente sulla questione dell’occupazione del West Bank, perché da parte del mondo arabo che fa parte della Lega araba - e sono ben 22 Paesi - c’è stata la ripresa dell’iniziativa saudita del 2002, cioè un’offerta di pace e di riconoscimento da parte di tutti loro a Israele se solo Israele negozia con i palestinesi un trattato di pace sulle linee del 1967, prima della guerra.







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