Domani Obama in Medio Oriente. Sale l'attesa per il discorso al mondo musulmano
Cresce l’attesa in tutto il mondo arabo per il discorso che il presidente statunitense
Barack Obama pronuncerà giovedì al Cairo, nell’ambito della sua missione in Medio
Oriente. Il viaggio del capo della casa Bianca comincerà domani dall’Arabia Saudita
e si concluderà con la tappa europea nel fine settimana. Anticipando alcuni temi del
suo discorso, Barak Obama ha confidato di sperare di vedere progressi nelle relazioni
con l'Iran entro la fine dell'anno, ma al centro di tutto sarà anche il rilancio del
processo di pace israelo-palestinese. Sull’importanza del discorso del presidente
statunitense al mondo arabo, Stefano Leszczynski ha intervistato Maria Grazia
Enardu, docente di Relazioni internazionali e di Storia del Medio oriente all’Università
di Firenze:
R. - Sarà,
probabilmente, un discorso indirizzato ai giovani, del mondo arabo e del Medio Oriente,
sia perché questo è un presidente giovane che si pone immediatamente come cambiamento
percepibile, sia perché il Medio Oriente è una regione con un alto tasso di popolazione
giovane. E se questo è probabilmente esplicito, meno esplicita sarà la coincidenza
elettorale straordinaria: può darsi che sia anche un discorso che voglia toccare la
questione elettorale in Libano - dove si vota il 7 giugno sia pure in uno schema di
elezioni confessionali - e poi soprattutto in Iran, dove si vota il 12 giugno, e dove
le elezioni sono estremamente incerte perché l’astensionismo questa volta dovrebbe
essere ridotto e questo non favorisce Ahmadinejad.
D.
- Si nota, insomma, una certa apprensione da parte di Israele, quasi una paura che
il proprio più prezioso alleato stringa legami di amicizia con coloro che sono considerati
i nemici storici di Israele…
R. - E’ una paura molto
forte, anche perché gli israeliani tendono a dimenticare che il maggiore alleato dalla
Seconda Guerra mondiale degli Stati Uniti in Medio Oriente è stato l’Arabia Saudita.
I problemi sono essenzialmente due: la valutazione da dare alla questione dell’Iran
- che per Israele è assolutamente prioritaria - più che la trattativa di pace con
i palestinesi. Invece, da parte americana si vogliono, su questa strada del processo
di pace, dei passi veri, immediati e soprattutto misurabili e la misurazione degli
americani avviene sul congelamento totale degli insediamenti nella West Bank, che
Israele avversa sopra ogni cosa.
D. - Sul fronte
palestinese, il presidente Obama cerca di sostenere l’idea di uno Stato sovrano…
R.
- Certamente, gli americani spingono sull’aspetto dei due Stati e quindi di uno Stato
palestinese, anche perché questa è da sempre, più o meno, sulla carta, l’idea di tutta
la comunità internazionale.
D. - E’ possibile il
paradosso per cui questa missione diplomatica e la nuova confidenza data dagli Usa
ai Paesi arabi possa ritorcersi effettivamente contro Israele?
R.
- L’isolamento di Israele, se c’è e se ci sarà, è giocato esclusivamente sulla questione
dell’occupazione del West Bank, perché da parte del mondo arabo che fa parte della
Lega araba - e sono ben 22 Paesi - c’è stata la ripresa dell’iniziativa saudita del
2002, cioè un’offerta di pace e di riconoscimento da parte di tutti loro a Israele
se solo Israele negozia con i palestinesi un trattato di pace sulle linee del 1967,
prima della guerra.