Dai primi martiri ai cinque continenti: parte da Roma l'urna con le reliquie di don
Bosco
Le Catacombe di San Callisto a Roma costituiscono la prima tappa del lungo pellegrinaggio
che l’urna contenente le reliquie di Don Bosco compirà attraverso i cinque continenti,
in preparazione del bicentenario della nascita del Santo piemontese, vissuto tra il
1815 e il 1888. Il servizio di Roberta Gisotti.
E’ arrivata
domenica scorsa nelle catacombe romane, affidate da 80 anni alla custodia dei Salesiani,
l’urna di don Bosco, che nel 1858 visitò questi luoghi memoria delle persecuzioni
cristiane. Il reliquiario resterà esposto alla venerazione dei fedeli fino a venerdì
prossimo. Un evento marcato da celebrazioni liturgiche, incontri spirituali e culturali.
Di “Don Bosco ieri ed oggi” si è parlato in una Tavola rotonda alla quale ha preso
parte don Enrico Dal Covolo, consigliere della Pontificia Accademia
Teologica e postulatore generale della Famiglia salesiana, che quest’anno compie 150
anni, e oggi è presente in 129 Paesi dove operano circa 15.750 Salesiani. A don Enrico
chiediamo da dove ripartirebbe oggi don Bosco per avvicinare i giovani, specie quelli
lontani dalla Chiesa:
R. - Diciamo che il metodo è quello che ci è stato
tracciato dal nostro fondatore e che dobbiamo appunto riscoprire in questa occasione:
è il sistema preventivo di don Bosco basato su ragione, religione e amorevolezza.
Certo, si tratta di adattarlo alle attuali sfide culturali che sono inedite rispetto
ai tempi di don Bosco. In questo ci sembra che sia particolarmente importante proporre
ai giovani la santità come meta alta della vita cristiana ordinaria. Bisogna stimolare
i giovani verso scelte che li coinvolgano fino in fondo e che possano contrastare
efficacemente lo spirito corrente oggi nel mondo, un inquinamento morale che ci attanaglia.
D. - Lei ha citato l’amorevolezza che don Bosco
raccomandava nell’avvicinare i giovani. Forse è proprio questa virtù che sta venendo
meno da parte degli adulti?
R. - Sì, è proprio ciò
che ci preoccupa maggiormente, perché in realtà nel pensiero educativo di Don Bosco
l’amorevolezza era proprio il perno, la sintesi, ciò verso cui andare attraverso ragione
e religione. E questo nel momento presente della cultura, almeno la cultura della
vecchia Europa, che oggi viviamo, rende sempre più difficile una testimonianza di
amorevolezza reale e profonda. L’esperienza dell’amorevolezza è certamente il punto
più delicato e d’altra parte è decisiva: senza, non potremmo raggiungere quegli scopi
che don Bosco si proponeva e quindi è una grandissima sfida da riproporre, che passa
attraverso la testimonianza personale anzitutto dell’educatore, che deve essere un
uomo che si fa vedere come tutto donato per gli altri, tutto donato per i giovani,
che non risparmia niente di sé stesso.