General Motors dichiara bancarotta. Intervento della Casa Bianca per salvare l'industria
automobilistica
La prima casa automobilistica al mondo, l’americana General Motors, ha dichiarato
bancarotta. In salvataggio dell’azienda è, tuttavia, pronto un piano della Casa Bianca
che fornirà aiuti per 30.1 miliardi di dollari diventando così il primo azionista
con il 60% delle quote. Il finanziamento pubblico servirà a facilitare nel processo
di bancarotta la vendita della vecchia Gm ad una nuova società. Alla ristrutturazione
di General Motors parteciperà anche il Canada, che stanzierà finanziamenti per 9,5
miliardi di dollari in cambio del 12% della nuova società. Il settore automobilistico
è dunque nuovamente protagonista sulla scena economica dominata dalla crisi globale
tanto negli Usa quanto in Europa. A Mario Deaglio, docente di economia internazionale
dell’Università di Torino, Stefano Leszczynski ha chiesto perché la produzione
automobilistica sia tanto importante per l’economia contemporanea.
R. - E’ importante
per due motivi. Il primo è che il bisogno di spostarsi è un bisogno profondamente
radicato, uno dei bisogni al quale la società industriale ha risposto di più, puntando
sullo spostamento privato. Il secondo è che l’industria dell’auto è importante perché
è il punto di arrivo di numerose filiere industriali, il punto attraverso cui passano
le produzioni di tantissimi altri settori che poi troviamo nell’auto; pensiamo alle
gomme, alle parti elettriche, ai cambi ai freni, etc. Si stima che per ogni lavoratore
stabilmente impiegato dalle case automobilistiche ce ne siano almeno quattro a monte
che forniscono i componenti che vanno dentro l’auto e probabilmente uno o due e a
valle, cioè gli assicuratori, i benzinai, etc. D. - Professore, per quanto
riguarda l’industria dell’auto sembra che i governi non siano mai stati così disponibili
a scendere in campo con la finanza pubblica. Si stanno un po’ abbandonando, però,
quelli che erano i criteri del non interventismo pubblico nelle aziende. Questo vale
sia per gli Stati Uniti che per l’Europa. E’ effettivamente così? R.
- E’ effettivamente così. Questi criteri sono completamente saltati con la crisi finanziaria.
Per seguire questi criteri ci sarebbero milioni e milioni di disoccupati e nessun
Paese si può permettere qualcosa del genere, neppure i potentissimi Stati Uniti. Questi
disoccupati farebbero poi da motore di una crisi ancora più vasta perché deprimerebbero
i consumi di tutto il Paese. Se noi lo guardiamo dall’ottica del mercato invochiamo
quelle situazioni di emergenza in cui i mercati devono tacere, diciamo per salute
pubblica, e i governi intervengono. Se invece non siamo favorevoli al mercato possiamo
dire: si vede il fallimento di un sistema basato solo sul mercato. Bisogna che ci
sia in ogni momento una qualche presenza pubblica come rete di sicurezza. D.
- Questa rete di sicurezza è destinata a essere temporanea, cioè tolta nel momento
in cui la crisi passa. La parte pubblica verrà nuovamente privatizzata o alla fine
diventerà una consuetudine avere una fetta pubblica nei grandi settori dell’economia? R.
- Questa è una domanda a cui è difficilissimo rispondere. Penso che in un modo o nell’altro
una presenza pubblica rimarrà. Non è possibile su settori così important avere una
totale mano libera privata, intanto perché queste imprese diventano enormi e vengono
a condizionare e a scontrarsi con il settore del pubblico. Quindi, tanto vale che
il rapporto pubblico-privato che le caratterizza abbia dei caratteri di trasparenza
e di ufficialità.