Andare nella patria di Gesù è il senso più profondo del ministero petrino: così, il
cardinale Leonardo Sandri sul pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa
Sono molteplici i frutti del pellegrinaggio che Benedetto XVI ha compiuto in Terra
Santa dall’8 al 15 maggio scorsi. Il viaggio apostolico nei luoghi di Gesù si è rivelato,
in particolare, un prezioso contributo per la comunità cristiana locale e per la missione
della Chiesa di portare il Vangelo a tutti gli uomini. E’ quanto sottolinea, al microfono
di Romilda Ferrauto, il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali,
il cardinale Leonardo Sandri:
R. – Andare
nella patria di Gesù per un Papa, il Successore di Pietro, che ha l’ufficio di pascere
la Chiesa di Dio nel nome di Cristo, è il senso più profondo del ministero pastorale
petrino. Paolo VI annunciò ai Padri sinodali il suo viaggio in Terra Santa, dicendo:
“Voglio consegnare la Chiesa a Gesù Cristo”. In queste parole, io trovo che ogni Pontificato
è un portare gli uomini e la Chiesa a Cristo, è portare Cristo a tutti gli uomini.
Quindi, il senso del Pontificato lo trovo in una manifestazione concreta e fisica
di quello che il Papa fa come pastore universale della Chiesa: annunciare Cristo a
tutti gli uomini e far sì che tutti possano incontrarsi con Cristo e quindi con la
Salvezza, con Dio, con la vera felicità. E in questo senso penso si possa parlare
di un viaggio che dà senso al Pontificato. D. – Nonostante le
difficoltà e i rischi di cui si era tanto parlato prima della partenza del Santo Padre,
dei rischi di strumentalizzazione, Benedetto XVI ha dimostrato una grande determinazione.
Secondo lei, i timori della vigilia erano giustificati? R. –
Il problema è che si tratta di una terra nella quale ci sono tante divisioni religiose,
politiche. Il rischio poteva essere proprio che qualcuna di queste parti potesse far
sì che il viaggio del Papa perdesse la sua universalità, l’essere un dono per tutti,
al di là di tutte le differenze, al di là di tutte le religioni. Ovviamente, il primo
punto del viaggio del Papa era la comunità cattolica, quel piccolo gregge che vive
nella terra di Gesù e che ancora manifesta lì la storia di Gesù, la storia di Cristo.
E poi doveva essere un viaggio aperto anche ovviamente alle grandi religioni che vivono
lì: agli ebrei in primo luogo e ai musulmani. Con gli ebrei abbiamo la Torah, abbiamo
l’Antico Testamento. Loro sono i nostri fratelli maggiori. Con i musulmani, il Papa
ha ribadito: “Adoriamo l’unico Dio”. E con tutti e due ci sono tanti campi di intesa,
di collaborazione. Soprattutto è importante che queste grandi religioni monoteistiche,
in primo luogo la Chiesa cattolica, diano testimonianza nella loro vita della presenza
di Dio, del primato di Dio nel mondo. E' importante che, in questo, ci sia una grande
convergenza nostra con gli ebrei e con i musulmani, per una testimonianza piena, perché
non c’è senso nella vita umana se manca Dio. E in questo i nostri fratelli ebrei e
musulmani possono camminare insieme con noi. Il Papa è stato vicino a tutti quelli
che soffrono, a tutti quelli che devono subire una limitazione della loro libertà
di movimento, di azione, a quelli che non possono manifestare pienamente la loro fede
religiosa. D. – L’obiettivo principale era di favorire la presenza
dei cristiani in Medio Oriente, ma queste minoranze cristiane sono minacciate, divise,
a volte si confrontano con delle rivalità, delle competizioni. Cosa si può fare per
convincerli a rimanere, per aiutarli a rimanere? R. – Più che
di parole hanno bisogno di fatti, per restare. Hanno bisogno della pace, ma non della
pace declamata. Rimarrebbero se ci fosse pace. Se c’è sicurezza, rispetto della dignità
dell’uomo - e non che si debba vivere come una specie di esiliato nella propria patria,
e non che si debba vivere sempre sotto la pressione della richiesta di permessi, di
controlli - allora si può dire: “Io resto con la mia famiglia, perché qui vivo liberamente,
la mia dignità umana è rispettata”. C’è un contributo che proviene dalle istanze locali,
delle autorità di ognuna di queste realtà, e mi riferisco soprattutto ad Israele e
alla Palestina, dove il problema è l’accesso ai luoghi santi, il poter vivere liberamente
la propria vita religiosa. Queste istanze vanno poste alle autorità locali. C’è poi,
certo, un’istanza internazionale che deve promuovere, favorire, aiutare queste parti
a trovare il coraggio per fare questi passi che sono forse difficili ma che porteranno
alla pace.(Montaggio a cura di Maria Brigini)