Una Chiesa multietnica a servizio dei cristiani della selva peruviana
Una vita fatta di cose semplici, legata alle condizioni climatiche della selva, dove
i sacerdoti si spostano con difficoltà tra i fiumi: è quella degli indigeni del vicariato
di Iquitos, in Perù. Affidato alla cura pastorale degli agostiniani spagnoli, oggi
ospita anche religiosi dell’Africa e dell’Australia. Ma come vivono i cattolici nella
selva peruviana? Tiziana Campisi lo ha chiesto a mons. Julián García Centeno,
vicario apostolico di Iquitos che ha incontrato recentemente Benedetto XVI durante
la visita ad Limina dei vescovi del Perù:
R. – E’ nella
foresta, non ci sono strade, soltanto fiumi, e il vicariato si estende su oltre 100
mila chilometri quadrati. La situazione è molto difficile perché ci si può muovere
soltanto solcando i fiumi. Abbiamo pochi preti e poche suore che non possono raggiungere
tutte le zone. Abbiamo quindi bisogno di catechisti e di animatori delle comunità,
che svolgono questo lavoro durante la settimana o la domenica per celebrare la Parola
di Dio nei paesini, e fanno un gran lavoro. Per quanto riguarda l’istruzione, abbiamo
cinque collegi parrocchiali ed 8-9mila alunni. Il sistema educativo è piuttosto carente.
D.
– Quali altre realtà religiose esistono nel suo vicariato?
R.
– Abbiamo un monastero di vita contemplativa ma ci sono poche vocazioni perché la
gente non capisce bene cosa significhi la preghiera, la contemplazione; pian piano,
la gente inizia a comprendere un po’ l’importanza della preghiera che, come noi sappiamo,
è il cuore della Chiesa. Abbiamo anche un seminario dove adesso ci sono 26 seminaristi.
Questo vicariato è affidato agli agostiniani spagnoli. Fino ad ora venivano dalla
Spagna, ora, invece, da altri Paesi dell'Europa: anche in Spagna non ci sono vocazioni!
Per questo ho dovuto cercare i preti fuori dell’ordine agostiniano: e così, abbiamo
preti che vengono dall’Australia, dall’Inghilterra, da Malta, dalla Polonia. Le suore
invece vengono dall’Africa: dal Togo, dal Benin, dal Senegal, e poi dall’Indonesia
e dalla Germania, dalla Francia ... La nostra è dunque un po’ una “Chiesa universale”
e con diverse mentalità; è curioso, ma tutti quanti siamo contenti della nostra missione.
Anche la mentalità non rappresenta un problema: siamo tutti molto uniti, ci facciamo
coraggio a vicenda.