2009-05-28 15:08:57

Una Chiesa multietnica a servizio dei cristiani della selva peruviana


Una vita fatta di cose semplici, legata alle condizioni climatiche della selva, dove i sacerdoti si spostano con difficoltà tra i fiumi: è quella degli indigeni del vicariato di Iquitos, in Perù. Affidato alla cura pastorale degli agostiniani spagnoli, oggi ospita anche religiosi dell’Africa e dell’Australia. Ma come vivono i cattolici nella selva peruviana? Tiziana Campisi lo ha chiesto a mons. Julián García Centeno, vicario apostolico di Iquitos che ha incontrato recentemente Benedetto XVI durante la visita ad Limina dei vescovi del Perù:RealAudioMP3

R. – E’ nella foresta, non ci sono strade, soltanto fiumi, e il vicariato si estende su oltre 100 mila chilometri quadrati. La situazione è molto difficile perché ci si può muovere soltanto solcando i fiumi. Abbiamo pochi preti e poche suore che non possono raggiungere tutte le zone. Abbiamo quindi bisogno di catechisti e di animatori delle comunità, che svolgono questo lavoro durante la settimana o la domenica per celebrare la Parola di Dio nei paesini, e fanno un gran lavoro. Per quanto riguarda l’istruzione, abbiamo cinque collegi parrocchiali ed 8-9mila alunni. Il sistema educativo è piuttosto carente.

 
D. – Quali altre realtà religiose esistono nel suo vicariato?

 
R. – Abbiamo un monastero di vita contemplativa ma ci sono poche vocazioni perché la gente non capisce bene cosa significhi la preghiera, la contemplazione; pian piano, la gente inizia a comprendere un po’ l’importanza della preghiera che, come noi sappiamo, è il cuore della Chiesa. Abbiamo anche un seminario dove adesso ci sono 26 seminaristi. Questo vicariato è affidato agli agostiniani spagnoli. Fino ad ora venivano dalla Spagna, ora, invece, da altri Paesi dell'Europa: anche in Spagna non ci sono vocazioni! Per questo ho dovuto cercare i preti fuori dell’ordine agostiniano: e così, abbiamo preti che vengono dall’Australia, dall’Inghilterra, da Malta, dalla Polonia. Le suore invece vengono dall’Africa: dal Togo, dal Benin, dal Senegal, e poi dall’Indonesia e dalla Germania, dalla Francia ... La nostra è dunque un po’ una “Chiesa universale” e con diverse mentalità; è curioso, ma tutti quanti siamo contenti della nostra missione. Anche la mentalità non rappresenta un problema: siamo tutti molto uniti, ci facciamo coraggio a vicenda.







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