In Somalia c’è una drammatica ripresa delle violenze tra militari del governo moderato
di transizione e milizie radicali islamiche. Teatro degli scontri, soprattutto la
capitale Mogadiscio, che, da un momento all’altro, potrebbe cadere nelle mani dei
ribelli. Nelle ultime due settimane si registra la morte di oltre 200 persone ed il
ferimento di altre 700. Sugli sviluppi che questa situazione potrebbe avere, Giancarlo
La Vella ha sentito Mario Raffaelli, già responsabile del governo italiano
per il processo di pace in Somalia:
R. – La situazione
è difficile perché la parte radicale dell’opposizione islamica sta cercando, in tutti
i modi, di impedire che questo nuovo governo - che era nato in seguito agli accordi
di Gibuti, sotto la leadership di uno dei leader delle Corti islamiche dell’epoca
del loro controllo a Mogadiscio - possa consolidarsi, impedire che questo esperimento
possa avere successo. D. – Commentando le vicende somale, abbiamo
più volte puntato il dito contro la comunità internazionale. E’ la stessa cosa anche
in queste ore? R. – Sicuramente n’è passato di tempo; la lentezza
della Comunità internazionale in generale, e delle Nazioni Unite in particolare, anche
durante la fase del processo di pace, creava ulteriori problemi ad una situazione
già difficile. Direi che, negli ultimi tempi, c’è stata invece una presa d’atto, almeno
a livello europeo, molto forte. La riunione che c’è stata il 23 marzo scorso a Bruxelles,
ha visto un impegno forte da parte di tutti i Paesi, non solo europei. Era una riunione
internazionale per il sostegno a questo governo, anche nel delicato settore della
sicurezza. I prossimi 9 e 10 giugno, si svolgerà proprio a Roma l’International Contact
Group sulla Somalia, che si occuperà di queste cose. Quindi, diciamo che, a livello
di sensibilità politica di consapevolezza della necessità di dare un contributo forte,
ci siamo. Quello che ancora manca, è la distanza tra i tempi delle decisioni politiche
e i tempi dell’attuazione. Quindi, siamo in una fase in cui c’è una grande consapevolezza
politica di decisione; bisogna che siano accelerati i tempi pratici di attuazione. D.
– Sventato ormai l’ipotesi di un allargamento del conflitto somalo a tutta l’area
del Corno d’Africa? R. – Ovviamente questo è un problema che
cova sempre sotto la cenere perché, anche recentemente, la Commissione pace e sicurezza
dell’Unione Africana ha accusato apertamente l’Eritrea di sostenere questa “spallata”
che, diciamo, i radicali cercano di dare a Mogadiscio. Naturalmente, però, bisogna
evitare che ci sia un allargamento che sarebbe disastroso, così come non va abbandonata
la necessità di allargare il consenso di questo governo attraverso il dialogo perché,
purtroppo, i due anni - durante i quali si è pensato che la soluzione potesse essere
solo militare da parte di qualcuno - hanno solo provocato più radicali e più gruppi
terroristici. Quindi, la necessità di dare una risposta, anche in termini di sicurezza,
non deve trascurare la continuità della ricerca del dialogo, dell’allargamento di
questo primo passo importante che è stato costituito da questo governo islamico moderato.