Al Festival di Cannes premiato il regista austriaco Haneke
Una curiosa coincidenza di vedute fa sì che i giudizi di tre giurie - la giuria Ecumenica,
la giuria Fipresci e la giuria Internazionale - convergano su uno stesso titolo, che
già aveva fortemente impressionato il pubblico e la critica. “The White Ribbon” (Il
nastro bianco) di Michael Haneke ha infatti vinto con merito il 62.mo Festival di
Cannes. C’erano un paio di indizi, che, al di là del valore straordinario del film,
potevano far supporre una tale vittoria: il primo era la presenza di Isabelle Huppert
nel ruolo di presidente di giuria, che non poteva non fare pensare alla Palma d’oro
vinta dall’attrice nel 2001 con “La pianista” dello stesso Haneke; il secondo era
la distribuzione italiana della Lucky Red, che da qualche anno con fiuto infallibile
si aggiudica le pellicole premiate dai tre maggiori festival internazionali: Berlino,
Cannes e Venezia. Premiato dunque un film dal meccanismo narrativo implacabile e di
grande bellezza formale, ma anche di totale attualità, nonostante la sua storia si
situi agli inizi del XX secolo, per il fatto stesso di contenere un monito per le
generazioni future. La giuria ha poi distribuito gli altri premi a disposizione, celebrando
con una Palma d’oro alla carriera l’eccezionale contributo di Alain Resnais alla storia
del cinema, assegnando un Gran Premio a “Un prophète” di Jacques Audiard, storia carceraria
di grande impatto dai sottili sviluppi psicologici, un Premio alla Regia a “Kinatay”
di Brillante Mendoza, violenta e oscura discesa di un allievo poliziotto nell’inferno
di Manila, e due riconoscimenti al realistico “Fish Tank” di Andrea Arnold e al bislacco
“Thirst” di Park Chan-Wook. Migliori attori risultano Christoph Waltz, per il suo
ruolo di ufficiale tedesco poliglotta in “Inglorious Basterds” di Quentin Tarantino,
e Charlotte Gainsbourg per la parte di moglie indemoniata in “Antichrist” di Lars
Von Trier. La Caméra d’or, che premia il miglior esordio, è infine andata a “Samson
and Delilah” di Warwick Thornton, toccante viaggio di due aborigeni in una metropoli
australiana. Resta forte il rimpianto per alcuni film che avrebbero meritato un riconoscimento
come “Vincere” di Marco Bellocchio e soprattutto “The Time That Remains” di Elia Suleiman,
ma purtroppo ogni concorso è un gioco e, partecipandovi, bisogna accettarne il risultato.
Di sicuro è stato un bel festival e il cinema, nonostante gli allarmismi, è ben lungi
dall’essere morto. (Da Cannes, Luciano Barisone)