La visita alla Casa della Carità: San Benedetto ha civilizzato l'Europa con un amore
preferenziale per gli ultimi
Subito dopo la Messa il Papa si è recato ad inaugurare la Casa della Carità di Cassino:
ha scoperto una targa a ricordo dell'evento, quindi ha benedetto il nuovo centro di
accoglienza ricevendo un omaggio floreale di alcuni ospiti. Di questo centro ci parla
il suo coordinatore, don Giovanni Coppola, al microfono di Alessandro Gisotti:
R.
– La Casa della Carità è un centro di accoglienza per chi ha bisogno, di qualunque
colore, di qualunque religione, da dovunque venga, viene accolto; chi ha bisogno bussa
e noi cercheremo di aprire. L’idea iniziale l’ha avuta il padre abate: nel suo primo
incontro con la diocesi, appena eletto, la sua omelia è stata tutta ispirata al tema
degli ultimi: sono come i pastori che vanno ad adorare Cristo, che non erano accettati
dalla società di allora. Quindi, partendo da questo presupposto, è nata poi quest’idea
della Casa della Carità, che è stata realizzata nel vecchio ospedale “Gemma De Bosis”
di Cassino. D. – Che cosa significa l’inaugurazione del Papa
di questa Casa della Carità? D. – Forse, se non veniva il Papa,
la cosa andava un po’ più per le lunghe; venendo il Papa, ci siamo pregiati di darci
da fare, perché la presenza del Papa è per noi un impegno ulteriore a portare a termine
questo grosso impegno; sono cose che bisogna fare, perché la gente che ha bisogno
ce n’è tanta in giro. D. – Casa della Carità: il Papa ha dedicato
la sua prima Enciclica alla carità, quindi anche qui, rompere le barriere ed andare
incontro agli ultimi… R. – Anche nello spirito di San Benedetto,
perché San Benedetto si rivolgeva agli umili, si rivolgeva alla gente povera, civilizzando
l’Europa con l’amore. Noi, siamo sotto l’ombra di San Benedetto, per cui dipendiamo
da lui e siamo impregnati di spirito benedettino, quindi spirito caritatevole. Montecassino,
oasi di pace, oasi dello spirito: ma qual è l’esperienza di chi ci abita quotidianamente?
Alessandro Gisotti lo ha chiesto a don Benedetto Minchella, giovane parroco
della Chiesa di Sant’Antonio da Padova a Cassino: R.
– Montecassino è per ciascuno di noi quel luogo dove si ferma il tempo. Io vedo che
spesso, parlando con le persone, viene fuori quest’immagine simbolica che però, nello
stesso tempo, è molto reale, proprio perché a frequentare Montecassino, essere partecipi
delle liturgie così ben curate da parte della comunità monastica, essere inseriti
comunque in un particolare tipo di preghiera che è quello monastico e di chi fa vita
claustrale, è come se ci staccasse dallo spazio e dal tempo, ma non perché ce ne vogliamo
separare, ma è proprio una sorta di ricarica nello spirito: un proverbio cassinese
– che forse non tutti conoscono – dice: “chi Montecassino non vede, Paradiso non crede”,
quindi credo che questo sia già significativo di per sé. E devo dire che, anche noi,
culturalmente ed etnicamente parlando, siamo chiamati la “terra di San Benedetto”.
Credo che ciascuno di noi percepisca molto forte quest’eredità che San Benedetto ci
ha lasciato, proprio perché, se possiamo oggi dirci appartenenti alla Chiesa di Cristo,
è perché comunque San Benedetto ha cominciato un’opera di evangelizzazione ben 15
secoli fa, che ancora oggi il monastero porta avanti. (Montaggi a cura di
Maria Brigini)