2009-05-24 15:04:00

Cresce la mobilitazione internazionale per il rilascio di Aug San Suu Kyi


Dopo il nuovo appello del Consiglio di Sicurezza dell’Onu alla giunta militare del Myanmar, per la liberazione della leader dell’opposizione e premio Nobel per la Pace Aug San Suu Kyi e di tutti i prigionieri politici, gran parte della comunità internazionale sta chiedendo al governo di Yangon che siano maggiormente tutelati i diritti di libera espressione. Cresce intanto la mobilitazione internazionale di Suu Kyi, attualmente sotto processo per violazione degli arresti domiciliari. Perché in questo momento è importante, dunque, continuare a fare pressione sul Myanmar? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Marco Masciaga, esperto di Asia del Sole 24 Ore: RealAudioMP3
 
R. – E’ importante perché quella che governa la Birmania è una dittatura che dal 1962 in avanti ha controllato il Paese, trasformando quella che una volta era la Birmania – che oggi si chiama Myanmar – da uno dei Paesi più ricchi del sud-est asiatico ad una delle nazioni più povere della terra in questo momento, coinvolgendo in questo dramma decine di milioni di persone.
 
D. – Perché non si riesce a scardinare questo muro che la giunta militare ha creato nei confronti della comunità internazionale e quindi aprire una sorta di dialogo?
 
R. – Uno dei motivi può essere che, in Asia, la questione della democrazia forse è meno sentita di quanto non sia in Europa, ma un altro motivo può essere il fatto che il Myanmar è un Paese che ha risorse naturali piuttosto ingenti – gas e petrolio – e che ci sono Paesi che hanno un rapporto privilegiato con il Myanmar – penso soprattutto alla Cina, ma in misura minore anche l’India -, rapporti che gli permettono di poter accedere a queste risorse. In questo momento il prezzo del petrolio non è ai massimi di 150 dollari al barile del luglio dello scorso anno, però è destinato a risalire e non è difficile immaginare che nel giro di qualche tempo ci avvicineremo di nuovo a livelli piuttosto alti, e quindi avere buoni rapporti con un Paese produttore come il Myanmar può fare comodo a più di un Paese.
 
D. – Quello che preoccupa sono poi le sorti di Aung San Suu Kyi; molti chiedono addirittura che si scelga l’esilio per il leader dell’opposizione…
 
R. – Non so se lei sia d’accordo, nel senso che lei è coraggiosamente rientrata nel Paese, coraggiosamente ci è rimasta, sapendo che la cosa comportava dei rischi piuttosto seri; parlavo qualche giorno fa con uno dei suoi portavoce, prima che lei venisse arrestata, e c’era un po’ di preoccupazione per le sue condizioni di salute. Adesso, apparentemente, sta un po’ meglio. La sensazione è che lei voglia continuare a combattere la sua battaglia nel suo Paese; la giunta che governa il Myanmar sembra un osso piuttosto duro, nel senso che hanno un record in termini di soppressione del dissenso e delle dimostrazioni che chiedevano democrazia che non lascia grandissime speranze. Fino a che, a livello di Consiglio di sicurezza dell’Onu, si sentiranno le spalle coperte, fino a che altri Paesi, altre potenze asiatiche – parlo dell’India, che una volta aveva un atteggiamento più critico nei confronti del regime e adesso ha adottato una linea più di “real-politik”, cercando di non guastare i rapporti con un potenziale alleato, finché non cambiano questi fattori a livello internazionale, ho la sensazione che la sola pressione dei Paesi europei e degli Stati Uniti non potrà portare molto lontano







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