Violenza in Iraq: i cristiani pagano il prezzo più alto
Un ondata di attentati ha provocato decine di vittime in Iraq negli ultimi giorni.
Tra le città più colpite sono state Kirkuk e la capitale Baghdad dove, a poche settimane
dal passaggio della gestione della sicurezza dalle forze Usa a quelle irachene, sono
morte oltre 65 persone falciate da una raffica di attentati kamikaze e di autobomba.
Intanto, è stato liberato l'insegnante cristiano di 32 anni rapito in una scuola elementare
di un villaggio vicino a Kirkuk il 14 maggio scorso da un gruppo armato. Lo ha riferito
l’agenzia stampa AsiaNews, precisando che ai rapitori non è stato versato alcun riscatto.
A don Renato Sacco di Pax Christi, profondo conoscitore della realtà irachena,
Stefano Leszczynski ha chiesto come possa essere spiegata una tale recrudescenza
delle violenza nel Paese.
R. – A me
sembra che oggi in Iraq la prospettiva del rientro degli americani e la spartizione
di luoghi importanti come Kirkuk, che galleggia sul petrolio, la prospettiva forse,
dice qualcuno, di una divisione - come la Bosnia - dell’Iraq in 30 anni – curdi, sunniti
e sciiti – tutto questo fa sì che ci siano grossi interessi da spartire. Qualcuno
allora fa la voce grossa per dire: “Io voglio far valere non i miei diritti, ma la
mia arroganza”. Quindi, la ripresa di questa violenza potrebbe essere anche questa. D.
– Quello che interessa adesso è cercare di affermare un modo o alcuni modi di governare
il Paese. Si può leggere, secondo lei, questo cambiamento negli attentati che si sono
verificati ultimamente? R. – Credo di sì. Proprio una spartizione
di interessi. E credo sia giusto ricordare che in questo grande gioco di potenti e
di spartizioni di grandi capitali, i cristiani in questa logica di spartizione e di
attentati, forse sicuramente di matrice politica, con progetti di questo genere, sono
una delle minoranze più deboli e quindi rischiano di pagare un conto più alto. Pax
Christi ha cercato sempre di essere accanto a queste situazioni e abbiamo potuto vedere
con mano che, sia in passato che oggi, la minoranza cristiana sta vivendo un momento
molto, molto difficile, perchè non ha potere, non ha denaro, non ha petrolio, ha solo
da perdere. D. – Quale potrebbe essere una strada percorribile
per tentare di avviare un processo di riconciliazione nazionale in Iraq? R.
– Credo, come ci viene detto molte volte anche da loro, che ci venga richiesto il
rispetto per gli iracheni. Per esempio, chi ha interesse in qualche modo in Iraq,
non lo faccia per i suoi interessi, ma lo faccia per il bene della gente. Lì c’è una
grossa spartizione di ricchezza del petrolio e sappiamo anche di concessioni ad altre
nazioni o ad altre imprese. Il rischio quindi di dilapidare un patrimonio e di non
fare il bene degli iracheni non aiuta la riconciliazione.