2009-05-21 15:21:35

Migliaia in fuga da Mogadiscio privi di cibo e acqua


In Somalia continuano gli scontri tra militari, fedeli al governo di transizione, e gli estremisti islamici con il coinvolgimento di truppe eritree ed etiopiche. La comunità internazionale è sempre più preoccupata per la grave situazione umanitaria causata dal conflitto. L’ultima denuncia arriva da Medici Senza Frontiere: sono quasi 300 mila i civili in fuga, 45 mila, nelle ultime ore, da Mogadiscio. Molti di loro, addirittura, stanno rientrando nelle zone dei combattimenti, a causa della mancanza di generi di prima necessità nei sovraffollati campi per i rifugiati allestiti in Kenya. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Kostas Moschochorìtis, direttore generale di Medici Senza Frontiere Italia:RealAudioMP3

R. – In questo momento, c’è un inasprimento degli scontri in Somalia, specialmente nella zona di Mogadiscio, che ha causato un’ulteriore fuga dei civili, sia verso le aree fuori dalla capitale Mogadiscio, ma anche verso il Kenya dove ci sono da anni i campi nei quali hanno trovato rifugio tutti i civili che fuggono dalla guerra iniziata nel 1991. Ma il problema principale in questo momento è che i civili non sono davvero in condizione di farcela perché: c’è la stagione delle piogge, giungono nei campi dove c’è sovraffollamento totale e non c’è l’acqua, anche in termini di cure; parliamo di situazioni di malnutrizione, specialmente fra i bambini sotto i cinque anni, che è arrivato ai livelli di emergenza, e tutto questo quando le organizzazioni umanitarie e le organizzazioni delle Nazioni Unite non sono in grado di offrire quello che dovrebbero offrire per coprire una situazione così drammatica.
 
D. – Perché si è creata questa carenza di generi di prima necessità all’interno dei campi per i rifugiati?
 
R. – Innanzitutto, mancano anche i finanziamenti, per esempio al Programma alimentare mondiale, che di recente, per carenza di fondi, ha dovuto fare una riduzione del 30 per cento delle razioni del cibo che distribuisce nei campi in Kenya, al confine con la Somalia. Per questo motivo c’è bisogno di ulteriori aiuti da parte dei donatori. Parliamo di una catastrofe umanitaria che va avanti da anni e che adesso è arrivata a un picco: in campi dove normalmente dovrebbero stare 30 mila persone ce ne sono 90 mila! A questo va aggiunto che nella zona di Dadaab ci sono 200 mila rifugiati in fuga dal conflitto e che c’è una completa mancanza di cibo, acqua e ripari. Normalmente una persona, secondo gli standard internazionali, deve ricevere 20 litri di acqua ogni giorno. In casi di emergenza possiamo anche scendere a 15, fino a 10 litri al giorno. Ma in questo momento, in determinati campi, la gente ha solamente tre litri di acqua per tutto il giorno.
 
D. – Tornare nelle zone dei combattimenti, per molti dei rifugiati, a quale rischio espone?
 
R. – Il rischio è ovvio. Solamente in una settimana, il nostro team in una cittadina appena fuori Mogadiscio ha curato 112 feriti da arma da fuoco; tra questi oltre un terzo erano donne e bambini sotto i 14 anni. Siamo stati costretti a chiudere momentaneamente la nostra clinica chirurgica a Mogadiscio perché non c’erano le garanzie di sicurezza per il nostro staff, e ovviamente neanche per i civili … Noi, come Medici Ssenza Frontiere, chiediamo a tutte le parti coinvolte nel conflitto che rispettino e salvaguardino la comunità dei civili e ovviamente anche delle strutture sanitarie. E chiediamo alla comunità internazionale di supportare ancora di più i rifugiati nei campi in Kenya perché davvero la situazione è scandalosa!







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