Migliaia in fuga da Mogadiscio privi di cibo e acqua
In Somalia continuano gli scontri tra militari, fedeli al governo di transizione,
e gli estremisti islamici con il coinvolgimento di truppe eritree ed etiopiche. La
comunità internazionale è sempre più preoccupata per la grave situazione umanitaria
causata dal conflitto. L’ultima denuncia arriva da Medici Senza Frontiere: sono quasi
300 mila i civili in fuga, 45 mila, nelle ultime ore, da Mogadiscio. Molti di loro,
addirittura, stanno rientrando nelle zone dei combattimenti, a causa della mancanza
di generi di prima necessità nei sovraffollati campi per i rifugiati allestiti in
Kenya. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Kostas Moschochorìtis, direttore
generale di Medici Senza Frontiere Italia:
R. – In questo
momento, c’è un inasprimento degli scontri in Somalia, specialmente nella zona di
Mogadiscio, che ha causato un’ulteriore fuga dei civili, sia verso le aree fuori dalla
capitale Mogadiscio, ma anche verso il Kenya dove ci sono da anni i campi nei quali
hanno trovato rifugio tutti i civili che fuggono dalla guerra iniziata nel 1991. Ma
il problema principale in questo momento è che i civili non sono davvero in condizione
di farcela perché: c’è la stagione delle piogge, giungono nei campi dove c’è sovraffollamento
totale e non c’è l’acqua, anche in termini di cure; parliamo di situazioni di malnutrizione,
specialmente fra i bambini sotto i cinque anni, che è arrivato ai livelli di emergenza,
e tutto questo quando le organizzazioni umanitarie e le organizzazioni delle Nazioni
Unite non sono in grado di offrire quello che dovrebbero offrire per coprire una situazione
così drammatica. D. – Perché si è creata questa carenza di generi
di prima necessità all’interno dei campi per i rifugiati? R.
– Innanzitutto, mancano anche i finanziamenti, per esempio al Programma alimentare
mondiale, che di recente, per carenza di fondi, ha dovuto fare una riduzione del 30
per cento delle razioni del cibo che distribuisce nei campi in Kenya, al confine con
la Somalia. Per questo motivo c’è bisogno di ulteriori aiuti da parte dei donatori.
Parliamo di una catastrofe umanitaria che va avanti da anni e che adesso è arrivata
a un picco: in campi dove normalmente dovrebbero stare 30 mila persone ce ne sono
90 mila! A questo va aggiunto che nella zona di Dadaab ci sono 200 mila rifugiati
in fuga dal conflitto e che c’è una completa mancanza di cibo, acqua e ripari. Normalmente
una persona, secondo gli standard internazionali, deve ricevere 20 litri di acqua
ogni giorno. In casi di emergenza possiamo anche scendere a 15, fino a 10 litri al
giorno. Ma in questo momento, in determinati campi, la gente ha solamente tre litri
di acqua per tutto il giorno. D. – Tornare nelle zone dei combattimenti,
per molti dei rifugiati, a quale rischio espone? R. – Il rischio
è ovvio. Solamente in una settimana, il nostro team in una cittadina appena fuori
Mogadiscio ha curato 112 feriti da arma da fuoco; tra questi oltre un terzo erano
donne e bambini sotto i 14 anni. Siamo stati costretti a chiudere momentaneamente
la nostra clinica chirurgica a Mogadiscio perché non c’erano le garanzie di sicurezza
per il nostro staff, e ovviamente neanche per i civili … Noi, come Medici Ssenza Frontiere,
chiediamo a tutte le parti coinvolte nel conflitto che rispettino e salvaguardino
la comunità dei civili e ovviamente anche delle strutture sanitarie. E chiediamo alla
comunità internazionale di supportare ancora di più i rifugiati nei campi in Kenya
perché davvero la situazione è scandalosa!