2009-05-19 14:36:59

Sri Lanka: il presidente parla di riunificazione e chiede aiuti per gli sfollati


Un Paese “liberato dal terrorismo”. Con queste parole il presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa, si è rivolto oggi al parlamento nazionale. Nel suo discorso, il capo dello Stato cingalese ha parlato della sconfitta inflitta dall’esercito ai separatisti Tamil, affermando che il Paese è stato “interamente unificato per la prima volta in 30 anni”. Mentre il capo dello Stato pronunciava il suo intervento, l'agenzia Tamilnet pubblicava dichiarazioni che smentivano la morte del leader storico tamil, Velupillai Prabhakaran. Pronta la replica del generale Sarath Fonseka, che ha invece ribadito che il corpo del leader separatista è nelle mani dell’esercito. Sul difficile scenario politico del dopo-conflitto, la collega della redazione inglese della nosta emittente, Emer McCarthy ha intervistato l’arcivescovo di Colombo, Oswald Gomis:RealAudioMP3

R. – What we are doing now...
Quello che adesso stiamo facendo è risolvere politicamente il problema. Infatti, il presidente stesso, nel discorso di questa mattina, ha detto che non c’è una minoranza o una maggioranza in Sri Lanka. Siamo tutti una sola nazione e ci sono solo due tipi differenti di persone in Sri Lanka: quelli che amano il Paese e quelli che non lo amano. Le altre differenze non contano. Quindi, è stata una grande dichiarazione. La seconda cosa è che troveremo una nostra soluzione politica, che darà a tutti uguali diritti nel Paese. Questa mattina ero in parlamento con altre persone e questo è ciò che è stato detto oggi nel discorso alla nazione.
 
D. – Dopo aver cercato di promuovere l’unità nazionale, la riconciliazione e la pace per i tamil e per la popolazione cingalese, quale ruolo particolare la Chiesa cattolica deve giocare adesso in Sri Lanka? Cosa potete dare alla nazione, che forse nessun altro può dare?
 
R. – Immediately, we are sending...
Stiamo inviando subito soccorso a queste persone, beni di prima necessità, cibo e riparo. E stiamo collaborando con il governo perchè mandi parte di queste cose. Poi dovremo lavorare ad un processo di riconciliazione. Già alcune suore e altri volontari sono là per occuparsi dei malati, dei feriti, di coloro che non hanno una casa, che stanno soffrendo. Dobbiamo continuare in questo impegno, perché abbiamo detto al presidente che offriremo il nostro servizio in questo senso.
 
D. - I media hanno parlato di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini vittime della guerra, che ora devono affrontare il problema di non avere una casa, un posto dove andare. Può descriverci la situazione?
 
R. – They have been shifted…
Sono stati spostati in differenti campi e molti Paesi stranieri hanno offerto tende e così via. Certo, non abbiamo il comfort assoluto, ma gli sfollati verranno presto sistemati e il prima possibile dovrebbero tornare alle loro case.
 
D. – Un obiettivo molto importante questo...
 
R. – Very much, because...
Molto. Io ho incontrato di persona il presidente e l’ho pregato di occuparsi di queste persone, perché possano tornare nei loro territori e ricominciare il loro lavoro. Specialmente gli agricoltori, i coltivatori, sarebbero felici se potessero ritornare.
 
Al di là delle questioni politiche, a destare grande preoccupazione in Sri Lanka sono le condizioni al limite della vivibilità delle migliaia di civili, rimasti intrappolati per settimane nella morsa dei combattimenti. Nel suo discorso al parlamento, il presidente Rajapaksa ha chiesto alla comunità internazionale aiuti per i rifugiati e investimenti per aiutare lo sviluppo della regione settentrionale del Paese. Ecco la testimonianza in merito di Paolo Beccegato, responsabile dell'area internazionale della caritas italiana, al microfono di Federico Piana:RealAudioMP3

R. - Si parla di almeno 300 mila persone sfollate, interne, delle ultime settimane, con mille problemi. In particolare, il problema degli anziani e quello delle donne, soprattutto delle donne incinte. Ma anche il problema della malnutrizione - pare che colpisca almeno una persona su quattro - e il problema dell’igiene personale. Per cui sono moltissime le questioni: ci sono delle zone ad altissima concentrazione di sfollati in questo momento, in particolare la zona di Vavuniya, Mullaitivu, le zone storiche. Molti si stanno spostando nell’est, a Trincomalee: vengono forniti, in particolare, generi alimentari e sanitari, ma certamente ciò non è sufficiente anche perché il numero degli sfollati continua ad aumentare. Basti pensare agli ultimi settemila morti delle ultime settimane, 16.700 feriti gravi e i 50 mila delle ultime ore che pare siano gli sfollati degli ultimi combattimenti. E' un quadro veramente tra i peggiori, in questo momento, a livello internazionale.
 
D. - Beccegato, dobbiamo dire che il governo di Colombo ha praticamente negato alle istituzioni umanitarie di entrare e vedere la situazione. Adesso, cosa farà secondo lei?
 
R. - Noi abbiamo avuto delle limitazioni sicuramente a livello di logistica, quindi di spostamenti di operatori, anche se alcuni hanno sempre lavorato anche nelle zone controllate dalle Tigri Tamil. Però le forniture di generi di prima necessità hanno avuto dei grossi problemi. Poi, soprattutto, è cambiato il quadro delle presenze degli sfollati - e queste ultime settimane sono state veramente terribili - i quali hanno affollato dei campi dove prima non c’era nessuno. Quindi, sicuramente, l’auspicio fatto il Papa che queste operazioni belliche abbiano termine quanto prima, e si permetta di dare accesso alle zone colpite a tutte le organizzazioni umanitarie, va sottoscritto perché in caso contrario si rischia anche la morte per fame di molte persone.
 
D. - La comunità internazionale cosa può fare e cosa deve fare?
 
R. - Bisogna lavorare su due fronti: certamente sul fronte umanitario, perché appunto i generi di prima necessità non sono sufficienti. E poi a livello carattere politico cioè il diritto di guerra: il diritto umanitario prevede che ci siano corridoi umanitari per tutelare i diritti dei civili. In più, per un processo di pace, bisogna sempre considerare l’importanza anche di una rappacificazione dal basso. Io ho visitato dei campi a Trincomalee, qualche anno fa, e certamente la gente era arrabbiata, quindi c’era una sorta di consenso al conflitto. Se non si rimuovono i focolai - che poi alimentano il conflitto, come ci ha insegnato la storia - la ciclicità di queste ondate di violenza organizzata rischia di ripetersi.







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