Sri Lanka: il presidente parla di riunificazione e chiede aiuti per gli sfollati
Un Paese “liberato dal terrorismo”. Con queste parole il presidente dello Sri Lanka,
Mahinda Rajapaksa, si è rivolto oggi al parlamento nazionale. Nel suo discorso, il
capo dello Stato cingalese ha parlato della sconfitta inflitta dall’esercito ai separatisti
Tamil, affermando che il Paese è stato “interamente unificato per la prima volta in
30 anni”. Mentre il capo dello Stato pronunciava il suo intervento, l'agenzia Tamilnet
pubblicava dichiarazioni che smentivano la morte del leader storico tamil, Velupillai
Prabhakaran. Pronta la replica del generale Sarath Fonseka, che ha invece ribadito
che il corpo del leader separatista è nelle mani dell’esercito. Sul difficile scenario
politico del dopo-conflitto, la collega della redazione inglese della nosta emittente,
Emer McCarthy ha intervistato l’arcivescovo di Colombo, Oswald Gomis:
R. – What
we are doing now... Quello che adesso stiamo facendo è risolvere politicamente
il problema. Infatti, il presidente stesso, nel discorso di questa mattina, ha detto
che non c’è una minoranza o una maggioranza in Sri Lanka. Siamo tutti una sola nazione
e ci sono solo due tipi differenti di persone in Sri Lanka: quelli che amano il Paese
e quelli che non lo amano. Le altre differenze non contano. Quindi, è stata una grande
dichiarazione. La seconda cosa è che troveremo una nostra soluzione politica, che
darà a tutti uguali diritti nel Paese. Questa mattina ero in parlamento con altre
persone e questo è ciò che è stato detto oggi nel discorso alla nazione. D.
– Dopo aver cercato di promuovere l’unità nazionale, la riconciliazione e la pace
per i tamil e per la popolazione cingalese, quale ruolo particolare la Chiesa cattolica
deve giocare adesso in Sri Lanka? Cosa potete dare alla nazione, che forse nessun
altro può dare? R. – Immediately, we are sending... Stiamo
inviando subito soccorso a queste persone, beni di prima necessità, cibo e riparo.
E stiamo collaborando con il governo perchè mandi parte di queste cose. Poi dovremo
lavorare ad un processo di riconciliazione. Già alcune suore e altri volontari sono
là per occuparsi dei malati, dei feriti, di coloro che non hanno una casa, che stanno
soffrendo. Dobbiamo continuare in questo impegno, perché abbiamo detto al presidente
che offriremo il nostro servizio in questo senso. D. - I media
hanno parlato di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini vittime della guerra,
che ora devono affrontare il problema di non avere una casa, un posto dove andare.
Può descriverci la situazione? R. – They have been shifted… Sono
stati spostati in differenti campi e molti Paesi stranieri hanno offerto tende e così
via. Certo, non abbiamo il comfort assoluto, ma gli sfollati verranno presto sistemati
e il prima possibile dovrebbero tornare alle loro case. D.
– Un obiettivo molto importante questo... R. – Very much, because... Molto.
Io ho incontrato di persona il presidente e l’ho pregato di occuparsi di queste persone,
perché possano tornare nei loro territori e ricominciare il loro lavoro. Specialmente
gli agricoltori, i coltivatori, sarebbero felici se potessero ritornare. Al
di là delle questioni politiche, a destare grande preoccupazione in Sri Lanka sono
le condizioni al limite della vivibilità delle migliaia di civili, rimasti intrappolati
per settimane nella morsa dei combattimenti. Nel suo discorso al parlamento, il presidente
Rajapaksa ha chiesto alla comunità internazionale aiuti per i rifugiati e investimenti
per aiutare lo sviluppo della regione settentrionale del Paese. Ecco la testimonianza
in merito di Paolo Beccegato, responsabile dell'area internazionale della caritas
italiana, al microfono di Federico Piana:
R. - Si parla
di almeno 300 mila persone sfollate, interne, delle ultime settimane, con mille problemi.
In particolare, il problema degli anziani e quello delle donne, soprattutto delle
donne incinte. Ma anche il problema della malnutrizione - pare che colpisca almeno
una persona su quattro - e il problema dell’igiene personale. Per cui sono moltissime
le questioni: ci sono delle zone ad altissima concentrazione di sfollati in questo
momento, in particolare la zona di Vavuniya, Mullaitivu, le zone storiche. Molti si
stanno spostando nell’est, a Trincomalee: vengono forniti, in particolare, generi
alimentari e sanitari, ma certamente ciò non è sufficiente anche perché il numero
degli sfollati continua ad aumentare. Basti pensare agli ultimi settemila morti delle
ultime settimane, 16.700 feriti gravi e i 50 mila delle ultime ore che pare siano
gli sfollati degli ultimi combattimenti. E' un quadro veramente tra i peggiori, in
questo momento, a livello internazionale. D. - Beccegato, dobbiamo
dire che il governo di Colombo ha praticamente negato alle istituzioni umanitarie
di entrare e vedere la situazione. Adesso, cosa farà secondo lei? R.
- Noi abbiamo avuto delle limitazioni sicuramente a livello di logistica, quindi di
spostamenti di operatori, anche se alcuni hanno sempre lavorato anche nelle zone controllate
dalle Tigri Tamil. Però le forniture di generi di prima necessità hanno avuto dei
grossi problemi. Poi, soprattutto, è cambiato il quadro delle presenze degli sfollati
- e queste ultime settimane sono state veramente terribili - i quali hanno affollato
dei campi dove prima non c’era nessuno. Quindi, sicuramente, l’auspicio fatto il Papa
che queste operazioni belliche abbiano termine quanto prima, e si permetta di dare
accesso alle zone colpite a tutte le organizzazioni umanitarie, va sottoscritto perché
in caso contrario si rischia anche la morte per fame di molte persone. D.
- La comunità internazionale cosa può fare e cosa deve fare? R.
- Bisogna lavorare su due fronti: certamente sul fronte umanitario, perché appunto
i generi di prima necessità non sono sufficienti. E poi a livello carattere politico
cioè il diritto di guerra: il diritto umanitario prevede che ci siano corridoi umanitari
per tutelare i diritti dei civili. In più, per un processo di pace, bisogna sempre
considerare l’importanza anche di una rappacificazione dal basso. Io ho visitato dei
campi a Trincomalee, qualche anno fa, e certamente la gente era arrabbiata, quindi
c’era una sorta di consenso al conflitto. Se non si rimuovono i focolai - che poi
alimentano il conflitto, come ci ha insegnato la storia - la ciclicità di queste ondate
di violenza organizzata rischia di ripetersi.