Myanmar: aggiornato a domani il processo ad Aung San Suu Kyi
Proseguirà domani il processo a carico di Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione
in Myanmar, accusata dalla Giunta militare di violazione degli arresti domiciliari
per aver ricevuto la visita di un cittadino americano. La corte nella prima udienza
ha respinto la richiesta di un dibattimento a porte aperte. La leader della Lega Nazionale
per la Democrazia, premio Nobel per la pace, rischia una condanna da tre a cinque
anni di reclusione. Intanto, dopo gli Stati Uniti, anche l’Unione Europea potrebbe
decidere un rafforzamento delle sanzioni contro l’ex Birmania. Da più parti si auspica
che le pressioni della comunità internazionale possano sbloccare la situazione. Giancarlo
La Vella ne ha parlato con Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici
all’Università di Trieste:
R.
– E’ una situazione nella quale, io credo, non bastino né gli incontri né le pressioni
europee e neanche quelle americane. In realtà, potrebbe fare qualcosa la Cina, il
vero grande alleato della Giunta militare birmana. Un problema come quello, naturalmente,
deve essere anche un nostro problema. Lì però deve intervenire il governo della Cina
e poi anche quello dell’India, che ha meno rapporti, che spesso è anche in conflitto,
ma che comunque ha una grandissima influenza.
D. – Perchè
un personaggio come la premio Nobel per la pace spaventa così tanto il regime di Yangon?
R.
– Perché è l’unica voce che il mondo conosce e la Giunta è impermeabile fino ad adesso
ad ogni dibattito sulla libertà di ridare a numerosissimi prigionieri. Poi sul territorio
le divisioni sono moltissime e il Paese non è affatto coeso, come vuole mostrare,
con la repressione, la Giunta. I movimenti sono moltissimi e gli eserciti legati alle
etnie, alle tribù non sono assolutamente stati distrutti, come afferma la Giunta.
Quindi, la situazione è molto difficile e il pugno di ferro, in questo momento, fa
vedere la Birmania come un Paese unito. Toccare questo argomento significa per la
Giunta la fine e l’inizio della disgregazione. Allora, solo con un grande lavoro di
diplomazia dei Paesi vicini si può evitare la deflagrazione di un Paese tenuto ormai
in maniera ossessiva sotto controllo. Quindi, la Giunta birmana non vuole in nessun
modo affrontare questo e continua a rinviare le elezioni politiche, ormai convocate
per il 2010, sulle quali l’Europa, la Cina e l’India e gli altri Paesi dell’Asia devono
ormai metterlo come un punto definitivo, fermo, per aprire il dibattito sulla libertà
e la democrazia in Birmania.
D. – La comunità internazionale
sinora sta rispondendo soltanto con minacce di sanzioni nei confronti del governo
di Yangon. Come potrebbe avviarsi un dialogo costruttivo sulla questione dei diritti
umani?
R. – Intanto vi sono due prossime occasioni importanti
che riguardano direttamente l’Unione Europea, occasioni che vanno colte: la riunione
dei ministri degli Esteri dell'Asem (Asia-Europe Meeting), il Forum di cooperazione
economica del sud-est asiatico e d’Europa, che si terrà ad Hanoi il 25 maggio prossimo;
e poi, il Forum Unione Europea-Asean, l’Associazione del sud-est asiatico, dove come
osservatore c’è anche il rappresentante del governo birmano, che si terrà in Cambogia.
Sono occasioni per ribadire ormai la drammatica criticità della vicenda dei diritti
umani e della democrazia in Birmania. Questo si può fare subito e credo che dobbiamo
insistere, dobbiamo sottolineare l’assoluta necessità di un forte intervento europeo
in questo senso, partendo proprio da questi due importanti incontri.