Padre Lombardi: viaggio del messaggio e dell'ascolto
Sul messaggio lasciato dal Papa alla Terra Santa ecco la riflessione del direttore
della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Roberto
Piermarini: R.
– Il messaggio che il Papa ha dato è stato un messaggio molto corrispondente a quello
che egli aveva annunciato, un messaggio di pace, con molte sfaccettature diverse:
pace fra gli Stati, pace fra le diverse religioni, pace fra i diversi riti della Chiesa
cattolica e le diverse confessioni cristiane. Però, non è stato solo il viaggio del
messaggio del Papa, che parla agli altri, ma è stato molto un viaggio del Papa che
ascolta. Benedetto XVI è una persona che ascolta molto, con molta attenzione. Le persone
che incontra sono persone che egli ascolta, da cui egli riceve molto. Ebbene, in questo
viaggio lui ha ascoltato tantissimo. Ha ascoltato gli uomini politici di tre Stati
differenti: la Giordania, Israele e i Territori palestinesi, con le loro tensioni;
uomini religiosi, di tre religioni differenti, gli ebrei, i rabbini, i muftì, i capi
musulmani in Giordania, in Israele e nei territori, i cristiani dei diversi riti,
con i loro problemi differenti, delle diverse confessioni. Un ascolto continuo, ricchissimo,
fatto con grande pazienza e con grande attenzione. E questo gli ha dato, credo, una
grande esperienza, molto profonda, di cosa è la realtà umana e spirituale della Terra
Santa e quindi qual è poi la profondità a cui si deve porre il cammino di pace, come
ricerca di dimensioni, di ascolto, di intesa e di dialogo spirituale, culturale, sociale,
politico e così via. Quindi, viaggio del messaggio e viaggio dell’ascolto. Queste
sono le due dimensioni fondamentali, che mi sembra risultino, per quanto riguarda
il Papa e il modo in cui ha camminato. D. – Un pellegrinaggio
sulle orme di Gesù qui in Terra Santa, ma anche un pellegrinaggio ai santuari delle
altre due religioni monoteiste… R. – Esattamente. Il Papa è
venuto qui, come vengono tutti i cristiani, tutti i credenti, per ritrovare i luoghi
fondamentali della nostra fede. Questo, però, è rimasto molto discreto, quasi sottotraccia,
quasi meno evidente, perchè non era l’aspetto che richiamava di più l’attenzione del
grande pubblico, della stampa internazionale. Il Papa è stato anche pellegrino ai
luoghi santi delle altre grandi religioni con cui parlava: è stato a Yad Vashem, è
stato al muro occidentale, è stato nella moschea in Giordania, è stato nella Cupola
della Roccia. Quindi, è andato proprio in quei luoghi per i quali egli chiede per
tutti la libertà di accesso. Il Papa, e la Chiesa, chiede anche lo statuto speciale
per Gerusalemme e la possibilità di libero accesso ai luoghi santi delle tre religioni.
Il Papa è stato pellegrino ai luoghi santi delle tre religioni. Direi che ha dato
un grande esempio di che cosa vuol dire anche atteggiamento di dialogo interreligioso. D.
– Soprattutto, nella stampa araba ha colpito molto il coraggio di questo Papa nel
suo incontro con il popolo palestinese... R. – Certamente, credo
anch’io che sia stato un viaggio di coraggio e di speranza allo stesso tempo. Il Papa
era consapevole di venire in una situazione ricca di tensioni. Non è un momento facile
per il Medio Oriente, per la Terra Santa e per Gerusalemme. Il Papa lo sapeva molto
bene e ci si era anche domandati se era opportuno che egli venisse. Però, come già
il suo predecessore, tutte le volte in cui ci sono stati dei dubbi e le persone prudenti,
e anche ben intenzionate, dicevano: “Ma no, abbiamo prudenza, rimandiamo...” ha scelto
nella direzione del coraggio, che è un coraggio cristiano, che è una testimonianza
di fede e di speranza e mi pare proprio che abbia avuto ragione, perché poi il suo
messaggio passa, il suo messaggio viene capito come un messaggio di amore, di speranza
e di pace. Il Papa nei territori palestinesi ha ribadito delle linee che non sono
particolarmente nuove, sono quelle della linea della Santa Sede sui temi delle vie
con cui trovare la pace nella giustizia in queste terre. Dire, però, queste cose,
davanti al muro, dirle nel campo dei rifugiati, dirle incontrando anche gli uomini
politici d’Israele non è facile, ma i discorsi del Papa sono stati sempre estremamente
equilibrati e quindi accettabili e rispettati dall’una e dall’altra parte. Egli ha
sempre detto che si deve cercare veramente la pace e la riconciliazione per tutti,
per l’una e per l’altra parte. D. – Quale messaggio lascia
Benedetto XVI alla Chiesa locale della Terra Santa? R. – L’incontro
con la Chiesa locale è diventato sempre più evidente, soprattutto negli ultimi giorni:
il giorno di Betlemme e il giorno di Nazareth, con le grandi celebrazioni, e quella
di Gerusalemme, la sera prima, che ne è stata un’introduzione. Direi invece che la
Messa di Betlemme e la Messa di Nazareth sono state delle grandi feste, grandi. Non
c’erano mai state. Sono state anche più grandi di quelle avvenute con Giovanni Paolo
II. Questa è una cosa da osservare: Giovanni Paolo II era il primo Papa che apriva
certe vie, il primo che andava al Muro del Pianto, il primo che andava nella moschea
e così via. Quindi, Benedetto XVI non aveva l’effetto novità che poteva avere Giovanni
Paolo II, però ha confermato una continuità, l’andare avanti sulla stessa linea. E
per quanto riguarda la Chiesa va avanti anche con questi grandi momenti di festa e
di celebrazione comune, numerosa, per delle comunità che sono in minoranza e che si
sentono piccole, povere e disperse. Quindi, credo un momento di grande fiducia, vissuto
dalle comunità cristiane locali, che è proprio quello che il Papa desiderava dare
loro: una fiducia garantita dalla fede, evidentemente, ma anche con quella esperienza
umana e cristiana dell’essere insieme nella celebrazione, che segna con questa esperienza
vissuta e visibile una tappa di speranza che cresce.