Gli incontri del Papa con il Patriarcato greco-ortodosso e armeno apostolico: la
divisione dei cristiani è una vergogna, raddoppiamo l'impegno per la piena comunione
Due importanti incontri ecumenici hanno caratterizzato l’ultimo giorno di permanenza
di Benedetto XVI a Gerusalemme. Il Papa si è recato questa mattina dapprima al Patriarcato
greco-ortodosso della Città Santa, dove è stato accolto dal Patriarca Teofilo III
e dai capi delle comunità cristiane di Terra Santa. Quindi - dopo la sosta al Santo
Sepolcro - ha visitato la Chiesa patriarcale degli Armeni Apostolici, retta dal Patriarca
Torkom Monoukian. La cronaca dei due avvenimenti nel servizio di Alessandro De
Carolis: C’è
una “comunione” che nasce dall’unico retaggio della fede in Cristo e c’è una “vergogna”
provocata dalla rottura, mille anni or sono, di quella iniziale unità. Ma più forte,
c’è la consapevolezza della presenza dello Spirito Santo che spinge le Chiese divise
verso la piena “riconciliazione”. Con queste convinzioni si è rivolto Benedetto XVI
ai leader delle comunità cristiane che vivono in Terra Santa e in particolare ai cristiani
greco-ortodossi, guidati da Sua Beatitudine Teofilo III, a capo di 40 mila fedeli
sparsi fra Israele, Giordania e Cisgiordania. Lasciandosi ispirare dalla vicina Basilica
del Santo Sepolcro, che ricorda il mistero della Morte e della Risurrezione di Gesù,
il Papa si è soffermato sulla responsabilità dell’annuncio del Vangelo, scaturita
- ha detto - dal soffio dello Spirito Santo di Cristo sugli Apostoli: “In
that breath, through the redemption that unites… In quell’alito,
mediante la redenzione che unisce, sta la nostra missione! Non meraviglia, perciò,
che sia precisamente in presenza del nostro ardente desiderio di portare Cristo agli
altri, di render noto il suo messaggio di riconciliazione, che noi sperimentiamo la
vergogna della nostra divisione”. Un’ammissione forte,
quella del Pontefice, che tuttavia ha sottolineato come non solo sia immutata anche
per i cristiani di oggi la consegna di annunciare la riconciliazione di Cristo, ma
anche l’imperativo di ricomporre l’unità della Chiesa: “We
shall find the strength to redouble our efforts… Noi dobbiamo trovare
la forza di raddoppiare il nostro impegno per perfezionare la nostra comunione, per
renderla completa, per recare comune testimonianza all’amore del Padre, che invia
il Figlio affinché il mondo conosca il suo amore per noi”. Per
valutare lo stato attuale dei rapporti ecumenici, il Papa era partito dalla storia
e dagli abbracci, “di grande significato simbolico”, che in passato a Gerusalemme
si scambiarono Paolo VI e il Patriarca ecumenico Atenagora e, non molti anni fa, Giovanni
Paolo II e il Patriarca Diodoros. Anche la presenza, lo scorso ottobre al Sinodo dei
Vescovi in Vaticano, del Patriarca ecumenico Bartolomeo I è stata, ha affermato Benedetto
XVI, segno dell’“ampiezza” della comunione “già presente” fra cattolici e ortodossi.
Un’intesa che il Papa ha notato intanto nei lavori della Commissione internazionale
congiunta per il Dialogo teologico ed ha auspicato in particolare per le comunità
cristiane di Terra Santa, con le sue ricadute sociali e civili: “I
pray that the aspirations of the Christians of Jerusalem… Prego perché
si comprenda che le aspirazioni dei Cristiani di Gerusalemme sono in sintonia con
le aspirazioni di tutti i suoi abitanti, qualunque sia la loro religione: una vita
contrassegnata da libertà religiosa e da coesistenza pacifica, e - in particolare
per le giovani generazioni - il libero accesso all’educazione e all’impiego, la prospettiva
di una conveniente ospitalità e residenza familiare e la possibilità di trarre vantaggio
da una situazione di stabilità economica e di contribuirvi”. Il
penultimo atto prima del trasferimento all’aeroporto per il discorso di congedo dalla
Terra Santa, Benedetto XVI lo ha vissuto al cospetto dell’anziano Patriarca armeno-apostolico,
Torkom Manoukian, nato in Iraq 90 anni fa. Alcune centinaia di fedeli hanno accolto
con cordialità il Pontefice nell’antica Chiesa patriarcale di San Giacomo, “cuore”
della comunità degli Armeni apostolici di Terra Santa che conta circa 10 mila fedeli: “Our
meeting today, characterized by an atmosphere… Il nostro odierno
incontro, caratterizzato da una atmosfera di cordialità ed amicizia, è un ulteriore
passo nel cammino verso l’unità che il Signore desidera per tutti i suoi discepoli.
Negli ultimi decenni, abbiamo sperimentato, per grazia di Dio, una significativa crescita
nelle relazioni tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena”. Una
Chiesa della quale il Papa ha messo in risalto tanto la storia “illustre” quanto il
“deciso impegno” nel dialogo teologico, sia sul versante cattolico che su quello ortodosso: “This
dialogue, sustained by prayer… Questo dialogo, sostenuto dalla preghiera,
ha fatto progressi nel superare il fardello di malintesi passati ed offre molte promesse
per il futuro (...) Affidiamo insieme il lavoro della Commissione Mista ancora una
volta allo Spirito di sapienza e verità, perché possa portare frutti abbondanti per
la crescita dell’unità dei Cristiani e far progredire l’espansione del Vangelo fra
gli uomini e le donne del nostro tempo”. Gli incontri
di questa mattina, a Gerusalemme, sono stati ulteriori tasselli del complesso mosaico
di relazioni ecumeniche che legano la Chiesa alle varie confessioni cristiane. Sull’importanza
di questi contatti, il nostro inviato in Israele, Roberto Piermarini, ha chiesto
una opinione al cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio
per l’Unità dei Cristiani: R.
- Hanno confermato i nostri buoni rapporti, che abbiamo costruito negli ultimi anni,
e ci danno una ulteriore spinta a continuare il nostro dialogo. Nel dialogo ecumenico
non sono importanti soltanto i documenti, ma i contatti personali e l’amicizia reciproca.
E questo è stato approfondito durante questa visita in Terra Santa. D.
- Eminenza, la Chiesa di Terra Santa, che ha molti problemi al suo interno, la vede
sensibile all’ecumenismo? R. - Diversi problemi toccano tutti
i cristiani - cattolici, ortodossi, protestanti - e quando vengo qui, a Gerusalemme,
noto che tutti i rappresentanti delle Chiese hanno problemi analoghi: quello dei visti,
delle separazioni delle famiglie ed altro. E tutti tengono molto all’aiuto della Chiesa
cattolica, perché è una Chiesa universale, che ha rappresentanza diplomatica e così
via. Chiedono il nostro sostegno e ne sono grati. D. - Cosa
prova lei, personalmente, nel vedere che nella terra di Gesù le Chiese sono ancora
divise? R. - Questo per me è sempre un grande scandalo. Abbiamo
migliorato i rapporti negli ultimi anni, ma c’è molto da fare. Sono ancora molti i
pregiudizi, i sospetti, che hanno una lunga storia. Possiamo rispondere a queste sfide
soltanto se siamo uniti e non gli uni contro gli altri.(Montaggio a cura di
Maria Brigini)