L'incontro con i profughi di Aida. Il Papa: tragica la costruzione del muro. Rompere
il ciclo della violenza
Israeliani e palestinesi devono abbattere, con l’aiuto della comunità internazionale,
il muro di reciproca ostilità che da 60 anni alimenta il conflitto in Medio Oriente.
Visitando ieri pomeriggio il Campo profughi “Aida” a Betlemme, che ospita 7 mila persone,
il Papa ha insistito molto sulla necessità di “rompere il ciclo delle aggressioni”
per arrivare ad una pace giusta e duratura per entrambi le popolazioni. Un pensiero
sul quale il Pontefice è ritornato anche nel suo discorso di congedo dai Territori
palestinesi, tenuto nel palazzo presidenziale. La cronaca di Alessandro De Carolis:
Lastroni
grigi alti quattro uomini, recinzioni e filo spinato. E per contrasto, la mozzetta
bianca del Papa, mossa dal vento, che si muove leggera sullo sfondo di cemento armato,
quasi a ricordare che, per quanto robusto sia, un muro costruito da uomini può essere
superato dallo spirito del dialogo che non può essere soffocato. (musica
palestinese) Hanno fatto il giro del mondo le immagini di Benedetto
XVI che parla nel Campo profughi di Aida, due km da Betlemme e pochi metri dalla lunga
parete che da qualche anno divide il confine fra Israele e la Cisgiordania. In settemila
convivono in quel campo - famiglie musulmane per lo più, ma anche cristiane - per
le quali la precarietà di un rifugio si è trasformata un giorno in normalità, ma senza
la serenità di una vita normale, come ha riconosciuto con grande partecipazione il
Papa: “I know that many of your families are divided… So
che molte vostre famiglie sono divise - a causa di imprigionamento di membri della
famiglia o di restrizioni alla libertà di movimento e che molti tra voi hanno sperimentato
perdite nel corso delle ostilità (...) Le vostre legittime aspirazioni ad una patria
permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario,
vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale
di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue”. Nell’apprezzare
il lavoro di solidarietà da 60 anni svolto dalla Missione Pontificia per la Palestina,
e lodare tutti coloro che in Terra Santa si oppongono alla violenza vivendo con spirito
francescano da “strumenti di pace”, Benedetto XVI ha condiviso l’anelito del mondo
a che sia spezzata la “spirale” dell’odio. E tuttavia, ha constatato, questo desiderio
deve fare i conti con la “dura consapevolezza” di quel muro di cemento, segno - ha
detto - “del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra israeliani e
palestinesi”: “In a world where more and more borders… In
un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi,
alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora
eretti dei muri. Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito
di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che
hanno causato l’erezione di questo muro!”. Questa
implorazione, due ore più tardi - quando il Pontefice si è congedato dai Territori
autonomi palestinesi e dal loro presidente, Mahmoud Abbas - è ritornata, con forza,
nel richiamo di un Papa che ha visto “con angoscia” la situazione dei rifugiati, ha
visto il muro che nasconde Betlemme e spezza intere famiglie: “Although
walls can easily be built… Benché i muri si possano con facilità
costruire, noi tutti sappiamo che essi non durano per sempre. Possono essere abbattuti.
Innanzitutto però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri
cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo. Ecco perché, nelle mie
conclusive parole, voglio fare un rinnovato appello all’apertura e alla generosità
di spirito, perché sia posta fine all'intolleranza ed all’esclusione”. “Non
importa - ha incalzato Benedetto XVI - quanto intrattabile e profondamente radicato
possa apparire un conflitto, ci sono sempre dei motivi per sperare che esso possa
essere risolto”. Ciò che occorre, aveva detto in precedenza al Campo di Aida, è un
“grande coraggio per superare la paura e la sfiducia”: “Occorre
magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati. E tuttavia
la storia ci insegna che la pace viene soltanto quando le parti in conflitto sono
disposte ad andare oltre le recriminazioni e a lavorare insieme a fini comuni (…)
Deve esserci una determinazione ad intraprendere iniziative forti e creative per la
riconciliazione: se ciascuno insiste su concessioni preliminari da parte dell’altro,
il risultato sarà soltanto lo stallo delle trattative”. Al
cospetto del presidente palestinese, Benedetto XVI ha inoltre assicurato di voler
cogliere “ogni opportunità per esortare coloro che sono coinvolti nei negoziati di
pace a lavorare per una soluzione giusta che rispetti le legittime aspirazioni di
entrambi, israeliani e palestinesi”. E come “importante passo in questa direzione”,
ha concluso, la Santa Sede “desidera stabilire presto, in accordo con l'Autorità Palestinese,
la Commissione Bilaterale di Lavoro Permanente che è stata delineata nell'Accordo
di base, firmato in Vaticano il 15 febbraio 2000”.