2009-05-13 17:38:03

Vivere in un campo profughi


Della situazione del Campo profughi di Aida ci parla padre William Shomali rettore del seminario di Beit Jala, al microfono di Roberto Piermarini: RealAudioMP3
R. – Il Campo profughi di Aida è uno dei tre campi che si trovano a Betlemme; era un terreno che apparteneva alla popolazione cristiana di Beit Jala. Hanno costruito prima di tutto qualche tenda, all’inizio, nel ’48; dopo hanno costruito delle case che adesso sono come tutte le altre case di Betlemme, quelle più povere, con strade malmesse: le fognature sono spesso inesistenti. La popolazione non arriva a più di sei, sette mila persone, per la maggior parte musulmana eccetto qualche famiglia cristiana che aveva dei terreni là e vi ha costruito.
D. – Come vivono queste poche famiglie cristiane all’interno di questo campo profughi, a maggioranza musulmana?
R. – Dipende. C’è qualcuno che vive meglio: non sono mendicanti, direi che sono persone normali.
D. – Sono in armonia con la comunità musulmana?
R. – Direi di sì perché ogni volta che noi cristiani siamo minoritari, non c’è problema. Il problema arriva quando siamo maggioritari, come a Betlemme o in altre città dove il numero è consistente: ma quando siamo un due per cento, non siamo oggetto di minaccia per nessuno.
D. – Quali problematiche ci sono all’interno di questo campo di Aida?
R. – Questa gente vuol ritornare alla sua casa di origine: hanno lasciato la propria terra, la casa, i familiari. Ogni anno la situazione diventa più difficile perché i primi profughi, quelli del ’48, sono quasi tutti morti. Ci sono i figli, ma dopo tre generazioni, la possibilità di ritornare, diventa meno probabile. Dunque, una certa disperazione di ritornare, esiste, sapendo che gli israeliani non vogliono il ritorno dei profughi. Hanno messo questa condizione per qualsiasi soluzione al problema. Forse permetteranno il ritorno dei profughi all’interno dei Territori palestinesi, ma mai all’interno di Israele. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







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