La Messa del Papa alla Valle di Giosafat: Gerusalemme sia la città della pace e del
rispetto, col decisivo contributo dei cristiani
Gerusalemme è una città “universale” che dovrebbe insegnare il dialogo e il rispetto
vicendevole e non la violenza o la discriminazione. Con queste parole, pronunciate
sotto le mura di Gerusalemme, Benedetto XVI ha celebrato ieri pomeriggio la Messa
nella Valle di Giosafat, dove si trova l’Orto degli Ulivi nel quale Gesù si ritirò
in preghiera poco prima di vivere la sua Passione. Il Papa ha fra l’altro toccato
il problema dell’abbandono della Terra Santa da parte dei cristiani, appellandosi
alle autorità locali a sostenerne la presenza. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Luci e ombre
millenarie pesano sui destini della Città Santa. Tre grandi religioni che la considerano
una “patria spirituale” - pur nel contesto di una non sempre facile rispettosa convivenza
- e tutto intorno un conflitto infinito, che ha insanguinato generazioni di ebrei
e di arabi. In questo scenario, qual è la “vocazione” di Gerusalemme? Se lo è chiesto
Benedetto XVI, tra gli ulivi della Josafat Valley, la biblica Valle del Cedron, fuori
le mura di Gerusalemme, dove ha presieduto la Messa davanti a circa tremila persone.
Tremila e non le cinque-seimila previste, a causa delle restrizioni imposte dalle
severissime misure di sicurezza. Un esempio di disagio quotidiano, segno di altri
ben più gravi evocati dal Papa: “In this Holy City where
life conquered… In questa Santa Città dove la vita ha sconfitto la
morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione, la
speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo, mentre
la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall’egoismo,
dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese”. Il
Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, ha parlato di “indifferenza” della
comunità internazionale davanti “all’agonia per la quale passa la Terra Santa da sessantun
anni”. Altra invece, ha osservato il Pontefice, è la visione di Gerusalemme, “che
spinge” tutti quelli che la amano “a vederla come una profezia e una promessa di quella
universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia”:
“This
City, if it is to live up its universale vocation… Questa Città,
se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità,
il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove
il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà,
dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura
per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia”. Situazioni
che, ha nuovamente constatato Benedetto XVI, inducono molti cristiani, specie giovani,
a tagliare con le loro “profonde radici” e a cercare un nuovo futuro lontani dalla
Terra Santa. Si tratta, ha riconosciuto, di “ragioni comprensibili”, e tuttavia il
Papa ha ripetuto che in “Terra Santa c’è posto per tutti”, invitando al contempo le
autorità “a rispettare e sostenere la presenza cristiana”: “Standing
before you today… Trovandomi qui davanti a voi oggi, desidero riconoscere
le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito
in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze
dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo
permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che
voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono
di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre”.