Memoriale dell'Olocausto. Benedetto XVI: la Shoah non sia mai negata, sminuita o dimenticata
Il Papa ha iniziato ieri la seconda parte del suo pellegrinaggio: ha lasciato la Giordania
ed è giunto in Israele. A Tel Aviv la cerimonia di benvenuto. Poi l'attesa visita
allo Yad Vashem, il Memoriale dell'Olocausto. Ecco le sue parole nella Sala della
Rimembranza: “Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento,
eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della
Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi... Possano
i nomi di queste vittime non perire mai! – ha aggiunto il pontefice - Possano le loro
sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di
buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di
portare a tragedie simili a questa!”. Quindi ha aggiunto: “Mentre siamo qui in silenzio,
il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni
atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di
sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente”. Poi
ha concluso con queste parole: “Cari Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi
per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per
ricordare, un silenzio per sperare”. Ecco il testo integrale del discorso del Papa:
“Io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un
nome… darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato” (Is 56,5). Questo
passo tratto dal Libro del profeta Isaia offre le due semplici parole che esprimono
in modo solenne il significato profondo di questo luogo venerato: yad – “memoriale”;
shem – “nome”. Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento,
eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della
Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono
stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia, e di quanti
sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora
l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile
nella memoria di Dio Onnipotente. Uno può derubare
il vicino dei suoi possedimenti, delle occasioni favorevoli o della libertà. Si può
intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano
rispetto. E tuttavia, per quanto ci si sforzi, non si può mai portar via il nome di
un altro essere umano. La Sacra Scrittura ci insegna l’importanza dei nomi quando
viene affidata a qualcuno una missione unica o un dono speciale. Dio ha chiamato Abram
“Abraham” perché doveva diventare il “padre di molti popoli” (Gn 17,5). Giacobbe fu
chiamato “Israele” perché aveva “combattuto con Dio e con gli uomini ed aveva vinto”
(cfr Gn 32,29). I nomi custoditi in questo venerato monumento avranno per sempre un
sacro posto fra gli innumerevoli discendenti di Abraham. Come avvenne per Abraham,
anche la loro fede fu provata. Come per Giacobbe, anch’essi furono immersi nella lotta
fra il bene e il male, mentre lottavano per discernere i disegni dell’Onnipotente.
Possano i nomi di queste vittime non perire mai! Possano le loro sofferenze non essere
mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà vigilare
per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili
a questa! La Chiesa Cattolica, impegnata negli
insegnamenti di Gesù e protesa ad imitarne l’amore per ogni persona, prova profonda
compassione per le vittime qui ricordate. Alla stessa maniera, essa si schiera accanto
a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della
condizione di vita o della religione – le loro sofferenze sono le sue e sua è la loro
speranza di giustizia. Come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ribadisco
– come i miei predecessori – l’impegno della Chiesa a pregare e ad operare senza stancarsi
per assicurare che l’odio non regni mai più nel cuore degli uomini. Il Dio di Abramo,
di Isacco e di Giacobbe è il Dio della pace (cfr Sal 85,9). Le
Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche
se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose ed imperscrutabili vie.
Egli ha rivelato se stesso e continua ad operare nella storia umana. Lui solo governa
il mondo con giustizia e giudica con equità ogni popolo (cfr Sal 9,9). Fissando lo
sguardo sui volti riflessi nello specchio d’acqua che si stende silenzioso all’interno
di questo memoriale, non si può fare a meno di ricordare come ciascuno di loro rechi
un nome. Posso soltanto immaginare la gioiosa aspettativa dei loro genitori, mentre
attendevano con ansia la nascita dei loro bambini. Quale nome daremo a questo figlio?
Che ne sarà di lui o di lei? Chi avrebbe potuto immaginare che sarebbero stati condannati
ad un così lacrimevole destino! Mentre siamo qui
in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva
contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento
di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente.
Nel professare la nostra incrollabile fiducia in Dio, diamo voce a quel grido con
le parole del Libro delle Lamentazioni, così cariche di significato sia per gli ebrei
che per i cristiani: “Le grazie del Signore non
sono finite, non sono esaurite le sue misericordie; Si
rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà; «Mia
parte è il Signore – io esclamo –, per questo in lui spero». Buono
è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca. È
bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore” (3,22-26). Cari
Amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data
di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare.