Immigrazione: polemiche in Italia sulla "politica del respingimento"
''Ci auguriamo che l'Italia e il ministro Maroni non portino avanti la politica dei
respingimenti'' degli immigrati. Così il commissario ai diritti umani del Consiglio
d'Europa, Thomas Hammarberg, dopo l’ultimo rimpatrio in Libia, ieri, di 240 migranti.
Il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, parlando d’integrazione
ha ribadito che in Italia già esiste la dimensione multietnica e che si tratta di
un valore: occorre inserirlo nel rispetto della legalità. Per il presidente della
Camera Fini “respingere l'immigrato clandestino non viola il diritto internazionale,
ma è necessario - precisa - sviluppare un'azione globale per lo sviluppo e il miglioramento
delle condizioni di vita di tanti Paesi” in difficoltà. Massimiliano Menichetti
ha intervistato Berardino Guarino responsabile progetti del Centro Astalli: R. – Questi
respingimenti, come ha anche affermato autorevolmente l’Onu, sono assolutamente illegali.
Secondo le norme internazionali, queste persone andrebbero accolte. Se c’è una nave
italiana che fa un soccorso, la nave italiana le deve portare nel porto più vicino
dove sia possibile fare la domanda d’asilo. Riportare queste persone in Libia vuol
dire praticamente rimetterle in una situazione di grandi privazioni, spesso anche
di violenze personali. D. – Il segretario generale della Cei,
mons. Crociata, ha ribadito che la costruzione di una società interculturale dev’essere
inserita in un rigoroso rispetto della legalità… R. – Questo
discorso dell’integrazione andrebbe ragionato di più. Queste politiche andrebbero
costruite insieme. Per esempio, c’è il discorso della cittadinanza per quelli che
sono nati in Italia, c’è il discorso delle politiche di integrazione e dei ricongiungimenti
familiari, c’è il discorso anche di valorizzare maggiormente, in qualche modo, tutta
la parte di professionalità che queste persone portano con sé, che invece spesso devono
ricominciare dalla terza media … Insomma, ci sono tutti quegli elementi, alla base
di una qualunque politica di integrazione che è stata fatta negli altri Paesi europei,
su cui purtroppo in Italia siamo ancora molto indietro. D. –
Dunque, l’intercultura è un valore? R. – Ma certamente! Avere
circa cinque milioni di immigrati – ci avviamo verso cifre sempre più alte – e avere
un ritmo di crescita di 600 mila persone l’anno è un dato di fatto che non può essere
discusso. C’è un milione di irregolari … quindi, se queste persone sono in Italia,
l’unica politica vera di sicurezza è integrarle. Far finta che non ci siano o chiuderle
nei ghetti è l’unico vero modo per costringerli, spesso, a delinquere. Perché il tasso
di reati di coloro che sono regolari in Italia è assolutamente nella norma, addirittura
inferiore a quello degli italiani! D. – Negli ultimi giorni,
sono stati respinti 500 "clandestini". La parola "clandestini" fa paura … R.
– Tra quelle persone – come è stato autorevolmente ricordato in questi giorni – ci
sono migranti che scappano da situazioni economiche molto difficili: chi scappa dalla
fame ha anche diritto a vivere, quindi in qualche modo la comunità internazionale
il problema se lo deve porre. Ma soprattutto, ci sono persone che scappano da guerre
e da violenze e spesso anche personali. Di fronte a queste, non c’è che un unico obbligo,
che è quello di accoglierli. Tra l’altro, parliamo di numeri ridotti, 30 – 40 mila
persone l’anno, che certamente non possono far paura ad un Paese occidentale evoluto
qual è l’Italia. Ricordiamoci che in questi giorni, dal Pakistan si sta muovendo un
milione di persone che andrà nei Paesi poveri vicini. E comunque questi Paesi le accoglieranno.
Quindi, spesso il carico delle persone che sono in difficoltà se lo prendono più i
Paesi poveri che i Paesi industriali, evoluti, occidentali.