Il commento di don Massimo Serretti al Vangelo della Domenica
In questa quinta Domenica di Pasqua la Liturgia ci presenta il passo del Vangelo in
cui Gesù dice ai suoi discepoli:
“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane
in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.
Su
questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del teologo, don Massimo Serretti,
docente di Cristologia all'Università Lateranense:
Gesù chiede
ai suoi di rimanere, di rimanere in Lui, non di rimanere con Lui, ma in Lui. Che cosa
significa rimanere “in Lui”? Essere innestato in Lui, in quel che Egli è, nel suo
mistero, nella sua vita, nella sua comunione, è un dono, mentre il rimanere è richiesto,
richiede la nostra volontà. Nel tralcio, fluisce e scorre la linfa vitale della vite,
non un’altra linfa, non un’altra vita ma proprio la stessa identica vita. Dunque,
l’atto del rimanere è quello che procura consistenza; chi non rimane e si stacca,
si autocondanna all’inesistenza, uscendo dal circolo vitale. Al nostro rimanere in
Lui, è correlato poi il suo rimanere in noi ma solo chi si adopera a non andarsene
e a rimanere, farà l’esperienza dolce e benefica del prendere dimora di Cristo in
Lui.