2009-05-07 15:25:28

Vittime civili dei raid Nato in Afghanistan. Intervista col generale Bertolini


Più impegno contro i talebani e i signori della guerra e "risultati concreti" contro la corruzione. Queste in sintesi le richieste del presidente statunitense Obama che, ieri alla Casa Bianca, ha ricevuto separatamente il presidente afghano Karzai e quello pakistano Zardari. Ma a fare da sfondo agli incontri, è la questione delle vittime civili delle operazioni militari alleate in Afghanistan. Proprio stamane centinaia di afgani sono scesi nelle strade di Farah per protestare contro i bombardamenti della Nato. Il comando Usa in Afghanistan e il presidente Hamid Karzai hanno ordinato l'apertura di un’inchiesta sulla morte di decine di civili nel corso di un’incursione aerea nella provincia di Farah, nell'ovest del Paese, verificatasi all’inizio della settimana. Su questi terribili eventi, Stefano Leszczynski ha intervistato il generale Marco Bertolini, capo di stato maggiore del comando ISAF, il contingente della Nato in Afghanistan.RealAudioMP3

R. – Quello delle vittime civili è un problema enorme. Intanto, è motivo di grande tristezza anche per noi, perché nessun soldato vuole uccidere degli innocenti. Però, obiettivamente, continuano ad esserci queste vittime, per vari motivi. Un motivo è che qui non ci troviamo in una situazione di pace: la pace è l’obiettivo che vogliamo conseguire, ma la pace, purtroppo, ancora non c’è. Non c’è un accordo tra le parti, così come abbiamo visto in altre zone, in precedenti operazioni: nei Balcani, come attualmente in Libano, come è stato in Somalia e così via. Questa, purtroppo, è una forma di guerra che si sta sviluppando in un Paese nel quale le città sono abitate, le campagne sono coltivate … Purtroppo, queste cose succedono con una certa frequenza proprio per il fatto che siamo frammisti alla popolazione.

 
D. – Quali sono le precauzioni, al di là – diciamo – anche di una questione etica che tocca molto da vicino i militari, e cioè quando un nemico si nasconde in una casa abitata con bambini, forse non bisognerebbe colpire la casa …

 
R. – Sì, è vero: questa è una consapevolezza che possiamo forse avere in una situazione che si svolge a casa nostra. Se si verificasse una situazione critica, dovremmo avere abbastanza possibilità di sapere chi c’è dentro la casa, chi non c’è … Qui non ci troviamo in una situazione del genere. Qua ci troviamo in situazioni di combattimenti veri e propri. Sicuramente abbiamo le nostre responsabilità, però c’è anche la controparte che utilizza queste persone, a volte discriminate, proprio per creare vittime, per creare allarme sociale, per creare odio nei nostri confronti.

 
D. – La notizia delle vittime civili nei combattimenti, come influisce sui rapporti tra la popolazione afghana e le forze della coalizione e quindi l’Occidente che poi esse rappresentano?

 
R. – Se le dicessi che non incide, sarei un ipocrita e un bugiardo. E’ chiaro che incide, è chiaro che il padre, la madre che si vedono uccidere il figlio o la figlia non si accontenteranno delle giustificazioni che posso portare loro, che possiamo portare loro noi, che siamo qua. Lui sa soltanto che la persona più importante della sua vita è stata uccisa, è stata eliminata da un mio intervento. Quindi, su questo – obiettivamente – c’è poco da dire. E questo è terribile. E’ terribile. Però, devo dire che la popolazione apprezza i nostri sforzi, capisce quello che facciamo nell’ambito dei nostri mezzi. Per essere loro veramente vicini in modo efficace non basta la nostra presenza: e questo è un altro aspetto negativo che vorrei sottolineare. Non basta la presenza del soldato che cerca di portare sicurezza con le proprie armi, se è necessario; c’è bisogno di un impegno totale delle società che esprimono questi soldati, dovrebbe esserci veramente anche una presenza civile che supporti le autorità afghane! E’ su questo che dobbiamo, secondo me, investire! Ma questa presenza civile non c’è, e non c’è perché non viene qui.







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