Domani inizia il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa. Mons. Franco: una speranza
di pace e giustizia per il Medio Oriente
Domani Benedetto XVI inizierà il suo pellegrinaggio in Terra Santa. Il Papa partirà
dall'aeroporto di Roma-Fiumicino alle 9.30 alla volta di Amman, in Giordania, dove
arriverà alle 13.30, ora italiana. La prima visita sarà dedicata ai disabili del Centro
"Regina Pacis"; poi l'incontro con il Re e la Regina di Giordania. Il 9 maggio il
Papa si recherà all'antica Basilica del Memoriale di Mosè, sul Monte Nebo, e visiterà
la moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman. Il 10 maggio la Messa all'International
Stadium della capitale giordana e la visita al sito del Battesimo sulle rive del Giordano.
Dall'11 al 15 maggio Benedetto XVI sarà in Israele e nei Territori palestinesi. Ma
diamo subito al linea al nostro inviato a Gerusalemme, Roberto Piermarini:
A 45 anni
dallo storico viaggio di Paolo VI ed a 9 da quello di Giovanni Paolo II, un altro
Papa ritorna come pellegrino sui luoghi resi santi dalla vita di Gesù. Lo fa in un
momento di forte tensione per la tormentata Terra Santa dove la tregua, dopo il conflitto
a Gaza, è solo un surrogato della pace vera. E Benedetto XVI viene - come ha detto
alla vigilia della sua partenza - per pregare per "il dono della pace e dell'unità".
Il clima di forte speranza socio-politica che aveva fatto da sfondo alla visita di
Papa Wojtyla nel 2000, sembra svanito; nella gente c'è molta rassegnazione. Eppure
sembrano svanite anche le polemiche su Ratisbona, da parte musulmana, e sul caso Williamson
sul fronte ebraico. Nei Territori Autonomi Palestinesi lo attendono
le autorità politiche, lacerate dopo la spaccatura con Hamas a Gaza, ed i profughi
del Campo di Aida, che dal 1948 vivono in condizioni di estrema povertà: un gesto
per manifestare la vicinanza del Papa alle sofferenze del popolo palestinese. Da Gaza
oltre 200 arabi cristiani non hanno ricevuto il permesso di entrare in Israele per
le Messe a Gerusalemme e Betlemme. Diverso trattamento per i cristiani di Cisgiordania:
su 15 mila richieste, ne sono state accolte 11 mila. In questa Terra dove Gesù ha
compiuto la sua missione, il Papa dovrà ridare speranza ai cristiani locali: nella
sola Gerusalemme al tempo della creazione dello Stato d'Israele erano 24 mila, ora
poco meno di sei mila. Cristiani che emigrano a causa della mancanza di alloggi, per
l'incertezza del lavoro, il precario futuro dei figli, in una società spesso a loro
ostile. A tutto questo si deve aggiungere lo smembramento di
molte famiglie causato dal muro di separazione costruito da Israele, che ha diviso
quelle coppie che avevano la residenza nei Territori palestinesi. Le autorità israeliane
attribuiscono al viaggio un'importanza altissima ed hanno stanziato 10 milioni di
euro per l'organizzazione; altri 10 milioni di dollari per le 44 scuole cattoliche
in modo che possano preparare alla visita i loro 24 mila studenti, cristiani e musulmani.
Il presidente Peres parla di “evento toccante e di importanza primaria dal quale spira
un'aria di pace e di speranza”. I giornali indugiano più sulla preparazione che sui
commenti mentre la radio statale continua a mandare in onda spot con gli appuntamenti
della visita. Il programma a Gerusalemme prevede anche la tappa allo Yad Vashem, il
memoriale dell'Olocausto, per una cerimonia in ricordo delle vittime della Shoah.
Ma il Pontefice non entrerà nella sala del Museo che contiene una didascalia offensiva
contro Pio XII. Benedetto XVI si farà quindi pellegrino di pace per riaffermare -
come ha detto nel Messaggio di Pasqua - che "Cristo ha bisogno di uomini e donne,
che in ogni tempo e luogo lo aiutino ad affermare la sua vittoria con le armi della
giustizia e della verità, della misericordia, del perdono e dell'amore. Sull'attesa
del Papa ascoltiamo mons. Antonio Franco, nunzio apostolico in Israele e delegato
apostolico in Palestina e Gerusalemme, al microfono di Roberto Piermarini:
R. – C’è
grande attesa proprio per il messaggio del Papa. Veramente, si spera che egli, con
la sua parola, possa riattivare quell’impegno per la ricerca di soluzioni a questa
situazione che oramai si trascina da decenni. D. – Eccellenza,
questo viaggio ha un carattere spirituale e religioso. Lei crede che si possa dare
una lettura politica? C’è il rischio di strumentalizzazioni? R.
– Distinguerei tra lettura politica e strumentalizzazioni, cioè: anche il messaggio
religioso che si cala in una realtà sociale in un certo senso è un messaggio anche
un po’ politico, intendendo la politica nel senso vero, originario della parola –
la ‘polis’, quello che riguarda la vita della società. Strumentalizzazione: ecco,
io ho cercato in tutti i modi di far capire e di scongiurare una qualsiasi velleità
di poter usare il Santo Padre per uno scopo ritenuto nobile da una parte ma che poi
sarebbe risentito dall’altra parte, e spero veramente che sia stato capito, questo
mio messaggio. Mi pare che la stampa l’abbia capito … D. – Che
significato dare alla visita del Papa al Memoriale dell’Olocausto, lo Yad Vashem,
che ancora presenta sotto una luce negativa Pio XII? R. – Questa
è una domanda che mi hanno fatto tutti, in questi giorni, e io ho precisato molto
bene che la visita è una visita per rendere omaggio e per pregare per le vittime dell’Olocausto:
è una realtà storica che deve anche essere per noi monito di riflessione. E quindi,
da questo punto di vista, il significato è questo. Chiaramente, c’è l’altro aspetto:
l’altro aspetto, lei sa bene che noi stiamo cercando di farlo evolvere, di trattare,
di stabilire dei ponti per potersi incontrare, poter riflettere insieme, poter leggere
insieme tutta la documentazione che riguarda la Seconda Guerra Mondiale. Oramai, siamo
già in una fase in cui si può parlare di uno studio storico-critico. Le emozioni,
anche se sono ancora molto vive, già il tempo ci distanzia un poco e io sono fiducioso
che questo lavoro possa continuare e sono sicuro che porterà frutti. Ci vuole un po’
di pazienza, ma sono convinto che questo porterà frutto: magari, creare una nuova
mentalità ci farà guardare al futuro, perché noi dobbiamo costruire qualcosa in cui
quei fenomeni non si verifichino più nel mondo. D. – Mons. Franco,
ci sono ancora difficoltà per i permessi ai cristiani di Gaza che vogliono partecipare
alla Messa del Papa a Betlemme? R. – Personalmente, sono convinto
che i permessi ci saranno: forse non per Gerusalemme, ma per Betlemme forse arriveranno
all’ultimo momento ma io sono fiducioso che questo ci sarà, perché altrimenti sarebbe
un colpo anche per Israele. Perché la stampa internazionale sta tutta pronta ad aspettare
questo evento. D. – Cosa si aspetta da questa visita che giunge
in un momento di forte tensione per il Paese? R. – Mi aspetto
proprio, come prima cosa, che questa faccia un poco – come dire – smorzare le tensioni
e dia un respiro nuovo, dia un poco di ossigeno per riprendere forza e per continuare
nella ricerca e nell’impegno di costruire la pace in questa terra. Per me è una grande
gioia ed una grande attesa, questa visita, e chiaramente siamo tutti un po’ emozionati,
perché il Papa starà un po’ con noi. Ma io ho una grande speranza: che il Signore,
attraverso Benedetto, voglia dire una Parola oggi e voglia compiere qualcuno dei Suoi
prodigi per rimettere in modo tutta la macchina che deve portare ad una pace giusta
e duratura, come ha detto il Papa stesso. (Montaggio a cura di Maria Brigini)