L'insegnamento della religione cattolica nell'Europa multiconfessionale: interviste
con il cardinale Erdö e mons. Giordano
Ieri pomeriggio a Strasburgo, presso il Consiglio d'Europa, c'è stata la presentazione-dibattito
della ricerca sull’insegnamento della religione in Europa. Una ricerca promossa dal
Consiglio delle Conferenze episcopali del continente (Ccee), su iniziativa della Conferenza
episcopale italiana (Cei). Presenti, tra gli altri, rispettivamente il presidente
del Ccee, il cardinale Péter Erdö, e il segretario generale della Cei, mons. Mariano
Crociata. Il servizio da Strasburgo di Fausta Speranza: L’insegnamento
a contenuto confessionale rappresenta il modello largamente prevalente, ma ci sono
contesti in cui non si va oltre la disciplina etica. I rappresentanti di Unione Europea
e Consiglio d'Europa hanno ribadito che, in ogni caso, l’insegnamento della religione
rappresenta una risorsa per tutte le società. Mons. Crociata ha sottolineato l'importanza
di un'Europa che non pensi solo ai mercati ma ai valori e che metta al centro di tutto
la persona. Mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso
il Consiglio d'Europa, ha affermato che dopo anni di diffidenza c'è un rinnovato interesse
per il fatto religioso. Le sue riflessioni nell'intervista che ci ha rilasciato: R.
- Per me, personalmente, è anche un momento particolare di emozione, perché il 5 maggio
1949 veniva fondato il Consiglio d’Europa. Io sono arrivato qui come osservatore della
Santa Sede nel 1 settembre dell’anno scorso e, precedentemente, ero segretario del
Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, organismo che ha realizzato questa
ricerca, che io quindi ho accompagnato. D. - Le questioni di
fondo, mons. Giordano, quali sono? R. - Oggi, noi notiamo un
ritorno dell’interesse per il fatto religioso. Se abbiamo vissuto qualche decennio
di un certo sospetto, di oblio di questo tema, adesso notiamo che il tema ritorna,
molto fortemente - anche se ci sono ancora rimasugli di questo sospetto, di quest’oblio.
C’è una riscoperta che la religione è un fatto politico, ha un’importanza per la società
e per la politica e qui siamo un po’ in all'interno di una ambiguità. Da una parte,
c’è chi vede che la religione spesso è usata o sfruttata anche per delle posizioni
violente, ed è lo choc dell’11 settembre 2001 che ha mostrato quest’aspetto. Dall’altra
parte, c’è una coscienza sempre maggiore di come la religione sia determinante per
la pace, per la solidarietà, per la convivenza tra i popoli. C’è una coscienza rinnovata
dal fatto che la religione è fondamentale per le culture. Inoltre, diventa sempre
più urgente, in Europa, la questione del senso della vita: non dobbiamo dimenticarci
che, almeno in 15 Paesi d’Europa, la più alta percentuale di morti di giovani e ragazzi
è il suicidio. Come si giustifica allora l’insegnamento della religione nella scuola?
Anzitutto, io ritengo perché la religione è una scienza, che come tale ha il diritto
ed il dovere di stare nel curriculum formativo scolastico. La religione è una materia
studiata da un numero enorme di scienze, forse nessuno degli altri oggetti è così
studiato: pensiamo alla Storia della religioni, alla Psicologia delle religioni, alla
Sociologia delle religioni, alla Fenomenologia della religione, alla Filosofia della
religione - per non parlare della Teologia, che è la scienza tipica della religione.
E d’altra parte, anche per il fatto che nella scuola vi è una dimensione fortemente
educativa, e quindi è importante cogliere il legame tra educazione, formazione e religione.
Un altro nodo che noi dobbiamo affrontare è come conciliare l’insegnamento confessionale
- che noi riteniamo avere una serietà metodologica di contenuto enorme - con il pluralismo
religioso che oggi in Europa. Dunque, noi abbiamo una questione ecumenica e abbiamo
una questione interreligiosa. Da una parte, sentiamo che la religione non è mai un
fatto generico, astratto, impersonale: le religioni hanno un volto, hanno una loro
storia, sono accadimenti nella storia e quindi l’insegnamento serio della religione
dev’essere, in qualche maniera, confessionale, cioè legato ad un’esperienza precisa.
Come conciliare questo con il fatto del pluralismo religioso in Europa? Questa è un’altra
domanda che teniamo in considerazione e credo che dovremo affrontarla sempre di più,
forse anche a livello ecumenico e a livello interreligioso. Di
affinità e differenze in Europa, ci ha parlato il cardinalePéter
Erdö, aggiungendo un ricordo personale:
R. - L’insegnamento
della religione nella scuola ha un vero senso: è utile sia per la Chiesa, per la fede,
che, oggettivamente, per l’educazione, in tutta l’Europa. Certamente, le forme giuridiche,
la posizione legale dell’insegnamento nella scuola possono essere diverse. Anche la
posizione sociologica della religione e delle religioni è ben diversa nei diversi
Paesi dell’Europa: ci sono Paesi tutt’ora a maggioranza cattolica, ci sono Paesi a
maggioranza cristiana ma non cattolica, Paesi dove i gruppi religiosi si equivalgono
in termini quantitativi, Paesi a maggioranza non credente, Paesi a maggioranza islamica,
e tutto questo è presente in Europa. Mi ricordo molto bene di un fatto quando frequentavo
la scuola elementare in Ungheria: tutta la propaganda ufficiale lanciava accuse dicendo:
“Ci sono ancora genitori retrogradi, che danno una doppia educazione ai figli”. In
altre parole, mentre c'erano alcuni che volevano ancora l’ora di religione per i figli,
si voleva sostenere che la doppia educazione non era accettabile, che faceva male
psicologicamente ai bambini, che i genitori non dovevano educare i loro figli diversamente
dall’ideologia dello Stato. Ma questo rappresentava proprio il capovolgimento della
sussidiarietà. Adesso vediamo, con un certo ottimismo, che tale modo di ragionare
torva poco spazio in Europa, e sicuramente non deve ritornare. D.
- La ricerca presentata a Bruxelles è frutto dell’elaborazione di tanti dati messi
insieme da tutte le Conferenze episcopali europee. Ma non può finire qui questo lavoro
di coordinamento a livello europeo: potrà dare frutti anche per il futuro? C’è l'impegno
a continuare in questo scambio? R. - Nel Consiglio delle Conferenze
episcopali d’Europa esiste una sezione che si dedica alla catechesi e all’insegnamento
della religione. Proprio in questi giorni ci terrà la sessione, a Roma: lo consideriamo
quindi un compito non soltanto importante, ma anche gioioso per noi, che abbiamo la
possibilità di migliorare i nostri metodi, la possibilità di guardare al contenuto
del nostro insegnamento della religione, perché è lì che ci sono grandi differenze
nei diversi Paesi. In alcune nazioni, l’ora di religione dev’essere multilaterale,
anche se il maestro di religione è un cattolico credente. In altri contesti, con gli
stessi criteri giuridici, ciò sarebbe un insegnamento controproducente, e quindi ci
sono diverse posizioni, ed ognuno può imparare dall’esperienza dell’altro.