Cresce l'attesa dei cattolici in Terra Santa per l'arrivo del Papa. Mons. Twal: abbiamo
bisogno dell'incoraggiamento del Santo Padre
Davanti ad una folta schiera di giornalisti e cineoperatori, il nunzio apostolico
in Israele, l'arcivescovo Antonio Franco, il Patriarca latino di Gerusalemme, mons.
Fouad Twal, il vicario patriarcale latino per Israele, mons. Marcuzzo, e il custode
di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, hanno tenuto a Gerusalemme una conferenza
stampa nel corso della quale hanno illustrato gli ultimi preparativi in vista dell’arrivo
di Benedetto XVI. Da Gerusalemme, il nostro inviato Roberto Piermarini.
“Vi abbiamo
invitato perchè, come giornalisti, avete una missione: presentare nel mondo migliore
questa visita, comprendendo la specificità di questo pellegrinaggio papale, che sarà
un’incessante preghiera per la ricerca dell’unità e della pace in questa terra così
tormentata”. E’ questo lo spirito con il quale vuole essere accolto Benedetto XVI.
Lo hanno affermato il nunzio apostolico in Israele, mons. Franco, e il Patriarca latino
di Gerusalemme, mons. Twal, nell’incontro che hanno avuto in mattinata con i giornalisti
al centro Notre-Dame di Gerusalemme. In particolare, mons. Twal non ha nascosto che
il viaggio papale, nel contesto palestinese e israeliano, possa essere strumentalizzato,
vista la delicata situazione politica che si vive nella regione. Ma una visita al
campo palestinese "Aida Refugee", vicino a Betlemme, ad esempio, è stato voluto dal
Papa per immergersi nella drammatica realtà delle migliaia di profughi palestinesi,
che spesso dimentica la comunità internazionale. Da Gaza, ha sottolineato mons. Twal,
è stata fatta la richiesta per l’accesso alla Messa a Betlemme per 250 cristiani palestinesi,
ma fino ad oggi il governo israeliano ha concesso il permesso solo a un centinaio
di loro.
“Perché il Papa non andrà a Gaza?” ha chiesto
un giornalista. Perché a Gaza i cattolici sono una piccolissima minoranza. Diverso
il discorso per la Cisgiordania: lì, ha detto mons. Twal, dei 15 mila cristiani palestinesi,
11 mila hanno ottenuto il permesso per recarsi in territorio israeliano per partecipare
agli incontri con il Papa. Sui problemi della sicurezza a Nazareth, è intervenuto
il vicario mons. Marcuzzo, il quale ha assicurato che non ci sono rischi per il Papa,
il quale tra l’altro userà la "papamobile" nella Messa presso il Monte del Precipizio
e che le contestazioni alla visita sono state da parte di alcune sparute frange estremiste,
già isolate dalla sicurezza. E’ stato anche chiesto dai giornalisti se è vero che
il presidente Perez restituirà alla Chiesa il Cenacolo. “La questione è oggetto di
lunghe consultazioni”, ha detto mons. Franco, “ma ancora non c’è niente di definitivo”.
Sulla
presenza del Papa al Mausoleo dell’Olocausto, lo Yad Vashem, che in una delle sue
sale contiene un’offensiva didascalia contro Pio XII, il nunzio apostolico ha detto
che il Papa non ha mai messo in discussione la visita in questo luogo, perché vuole
rispettare le vittime della Shoah. Mons. Marcuzzo ha invitato la stampa a non dimenticare
il senso di questa visita pastorale e spirituale del Papa in Medio Oriente, che affronterà
quattro temi in ognuna delle sue tappe più significative: in Giordania la Chiesa,
a Nazareth la vita, a Gerusalemme la pace e la riconciliazione e a Betlemme la famiglia.
Infine, mons. Franco ha ricordato le parole del Papa al Regina Caeli di domenica,
quando ha sottolineato che si recherà sui luoghi santi per confermare e incoraggiare
i cristiani di Terra Santa, facendosi pellegrino di pace, rilanciando il dialogo e
la riconciliazione.
Sull’attesa della comunità cattolica,
ma no solo, per l’arrivo di Benedetto XVI in Terra Santa, il nostro inviato a Gerusalemme,
Roberto Piermarini, ha raccolto la testimonianza del Patriarca latino della
Città Santa, mons. Fouad Twal:
R. - Lo attendiamo
con gioia, con speranza, con entusiasmo: vediamo in lui un segno della Provvidenza
che viene a pregare con noi, per noi tutti, per la pace, per tutti gli abitanti di
Terra Santa. E' un padre che comincerà ad incoraggiare i fedeli in Giordania e poi
continuerà qui. Dobbiamo avere un cuore grande, non limitarci alle piccole cose, alle
meschinità. Al contrario, al bel gesto da parte sua deve corrispondere un bel gesto
da parte nostra attraverso tanta ospitalità, accoglienza e coraggio.
D.
- Mons. Twal, nel Regina Coeli di domenica scorsa il Papa ha detto che verrà
ad incoraggiare i cristiani di Terra Santa che devono affrontare quotidianamente non
poche difficoltà. Quali sono queste difficoltà? Lei ha parlato di “calvario della
comunità cristiana”…
R. - Basta andare da qui a Betlemme,
a Nazareth per vedere questo calvario: tutti i check-point che esistono, il muro che
ci si para dinanzi... Non possiamo arrivare all’aeroporto, abbiamo problemi di visti
che non arrivano, il problema della riunificazione delle famiglie cristiane tra Gerusalemme
est e Ramallah. E ancora, la distruzione delle case, la loro demolizione. Questo è
il calvario di una chiesa, però non dimentichiamo che il calvario è stato seguito
da una resurrezione. Noi puntiamo sulla resurrezione e non ci fermiamo mai al calvario.
D.
- La fa soffrire la lenta ma inesorabile emigrazione all’estero dei cristiani di Terra
Santa?
R. - Sì che ci fa soffrire. Ormai, solo a
Gerusalemme abbiamo appena 10 mila cristiani - tra cattolici, ortodossi e protestanti
- a fronte di una comunità musulmana di 250 mila persone e di quella israeliana di
550 mila. Facciamo il possibile per fermare e limitare al massimo questa emigrazione:
però tocca agli stessi cristiani capire che la loro presenza qui è una missione, devono
accettare gli ostacoli e non abbandonare davanti ai problemi. E’ qui che c’è la Terra
Santa, che ci sono le nostre radici.
D. - Ebrei,
cristiani e musulmani sono tutti sensibili a questa visita del Papa?
R.
- Tutti sono sensibili e poi siamo "costretti" a vivere gli uni accanto agli altri.
Quindi, sarebbe meglio trovare il modo di poter vivere in pace.
D.
- Quale importanza ha questo viaggio, invece, dal punto di vista ecumenico?
R.
- Molto bello. Noi abbiamo voluto fare un incontro al Patriarcato ortodosso per fortificare
i nostri rapporti. Già abbiamo buone relazioni tra noi e le diverse comunità, specialmente
con la Chiesa cattolica. Ogni tanto c’è un piccolo problema, ma fa parte dello scenario
della Terra Santa, non dobbiamo drammatizzare.
D.
- Nella Terra Santa di oggi è difficile avere il coraggio della pace?
R.
- No, no. Dobbiamo restituire a questa Terra Santa la sua vocazione di santità. Più
che la guerra per il territorio, dovremmo impegnarci di più per la santità, per la
riconciliazione, per il perdono, per carità fraterna. Ne abbiamo tanto, tanto bisogno.
Questo è il nostro coraggio.