La difficile eredità di 27 anni di guerra in Angola: le armi da fuoco e le mine
Ad un anno dall'avvio in Angola del programma di disarmo della popolazione civile,
sono state raccolte oltre 50 mila armi da fuoco. É quanto emerso dall'incontro pubblico
intitolato “La gestione e il controllo delle armi e munizioni", presieduto dal primo
ministro angolano, Cassoma Paulo, al quale hanno partecipato vicegovernatori provinciali,
i membri dei comitati tecnici e gli esperti brasiliani che hanno seguito il programma.
Secondo quanto reso noto dall’agenzia Fides, Paulo de Almeida, vicecomandante della
polizia nazionale angolana e coordinatore della Commissione nazionale per il disarmo,
ha detto che la raccolta delle armi “ha avuto un impatto positivo sulla percezione
della sicurezza pubblica”. In particolare, l'alto dirigente della polizia ha sottolineato
che uno degli aspetti più importanti del programma di disarmo è la riduzione dei reati
commessi con l'uso di armi da fuoco, anche se si è registrato un aumento dei crimini
commessi con armi bianche. Il processo di disarmo della popolazione civile prevede
due fasi. La prima, durata un anno, di consegna volontaria delle armi detenute illegalmente.
La seconda fase che scatta ora, prevede la confisca con la forza delle armi non consegnate
spontaneamente, anche se rimane sempre la possibilità per il cittadino di consegnarle
volontariamente. La grande quantità di armi di piccolo calibro che si trovano nelle
mani della popolazione angolana deriva dalla guerra civile scoppiata nel 1975 e conclusa
nel 2002. Un'altra delle eredità del conflitto sono le mine che ancora oggi seminano
morti e feriti. L'Angola infatti è il terzo Paese al mondo con più mine e altri ordigni
rimasti inesplosi, dopo l'Afghanistan e la Cambogia. Nonostante gli sforzi compiuti
dal 2002 ad oggi per sminare il territorio angolano, attualmente ancora circa il 15
per cento della popolazione angolana continua a correre gravi rischi nelle zone ancora
minate, secondo l'organizzazione internazionale "Landmine Monitor". L'Ong ha pubblicato
uno studio sull'impatto delle mine in Angola; nella relazione si stima che sono circa
80 mila di angolani vittime di ordigni esplosivi, molti dei quali hanno subito delle
amputazioni. Circa 240 km quadrati di territorio sono ancora minati, e il problema
è aggravato dal fatto che non si tratta di una singola area delimitata, ma di zone
sparse un po' in tutto il Paese. (V.V.)