Il confronto tra fede e ragione per arrivare ad un giudizio sereno sul fine-vita.
E' l'auspicio di mons. Fisichella, presidente della Pontifica Accademia della Vita
“Quando finisce la vita?” è l’incontro del ciclo “Dialoghi in cattedrale” che si è
svolto ieri sera nella Basilica di San Giovanni in Laterano, introdotto dal cardinale
vicario Agostino Vallini. Una riflessione sul fine-vita alla luce del disegno di legge
approvato dal Senato italiano ed ora all’esame della Camera. Mons. Rino Fisichella,
presidente della Pontifica Accademia della Vita, ha moderato il dibattito, animato
da Francesco D’Agostino, presidente onorario del Comitato nazionale per la Bioetica,
e Maria Luisa Di Pietro, presidente dell’Associazione Scienza e Vita. Il servizio
di Benedetta Capelli:
Un interrogativo
semplice, diretto ma che necessita chiarezza. Quando finisce la vita? Di quale vita
parliamo? Ed è lecito porre fine all’esistenza? Può una legge dello Stato disciplinare
questa materia? Molte domande scaturite soprattutto dalla vicenda di Eluana Englaro
che ha disorientato l’Italia e allo stesso tempo ha portato il Senato ad approvare
un disegno di legge sul fine-vita. Il dibattito non si è certo spento e l’auspicio
dell'arcivescovo,Rino Fisichella è di arrivare
ad “una visione condivisa” che riporti tranquillità. Il presidente della Pontifica
Accademia della Vita evidenzia l’importanza di un ruolo attivo della Chiesa, che “ha
il diritto di far sentire la sua voce” e suggerisce un binomio efficace per arrivare
ad una posizione comune tra le tante teorie sul fine-vita:
“Su questo
tema, fede e ragione possono e devono confrontarsi tra di loro; la verità dell’una
deve sostenere quella raggiunta dall’altra, ed insieme permettere di condurre ad un
giudizio che dia serenità alla coscienza, evitandole ulteriori conflitti.”
Interrogativi
aperti dunque ma per il cardinale vicario, Agostino Vallini sono
due i punti fermi sui quali innestare la discussione:
“Non possiamo
accettare l’eutanasia e non possiamo accettare l’accanimento terapeutico, in mezzo,
c’è una zona grigia, molto delicata, sulla quale si dibatte. Io penso che lo Stato
dovrebbe esprimere, in negativo, una legge, cioè una legge minima che dica cosa non
si deve fare”.
La fine della vita divide anche la comunità scientifica,
che in questo termine racchiude una serie di situazioni cliniche che vanno dallo stato
vegetativo persistente alle patologie degenerative. Quando finisce la vita allora
per la bioetica? Maria Luisa Di Pietro, presidente dell’Associazione
Scienza e Vita:
“La risposta è quella di continuare sempre a prendersi
cura del malato, a prendersi cura della globalità della persona, anche laddove non
è più possibile guarire. E non bisogna lasciare da sola la sua famiglia, perché dove
c’è solitudine, dove c’è paura, dove c’è abbandono possono diffondersi delle idee
anche rinunciatarie nei confronti della vita”.
Forte è dunque il rischio
di una deriva sempre più materialistica e in questo senso il prof. Francesco
D’Agostino, presidente onorario del Comitato nazionale per la Bioetica,
ha parlato della distinzione tra vita biografica e vita biologica: una minaccia per
la dignità di ogni persona:
“Quando la biografia ha perso ogni significato
si pensa sia inutile difendere la biologia. Se un malato è entrato in una fase terminale
- quindi biograficamente non può più essere presente nel mondo - è inutile battersi
per farlo sopravvivere il più a lungo possibile. L’errore antropologico di questa
prospettiva è sconfinato, perché parte dall’idea astratta che solo un soggetto in
buona salute fisica abbia una vita degna di questo nome, ma è vero esattamente il
contrario”.
Tante le prospettive del problema sul quale si può argomentare
attraverso un’ottica allargata “perché - come ha detto mons. Rino Fisichella
- non è eliminando ciò che la ragione non spiega” che si possono dare delle
risposte: “Solo nella misura in cui si è capaci di dare una risposta carica
di amore, allora si sarà in grado di affrontare la domanda sul senso del dolore e
della morte. Contrariamente, la questione sul senso della vita sarà sempre sottoposta
al ricatto dell’assurdo e non potrà incontrare l’uomo nell’istanza più personale,
che è quella della vita, non della morte”.
Forte come la morte, si legge
nel Cantico dei Cantici, è infatti l’amore: un sentimento sconvolgente e salvifico.