2009-04-21 15:04:45

Il confronto tra fede e ragione per arrivare ad un giudizio sereno sul fine-vita. E' l'auspicio di mons. Fisichella, presidente della Pontifica Accademia della Vita


“Quando finisce la vita?” è l’incontro del ciclo “Dialoghi in cattedrale” che si è svolto ieri sera nella Basilica di San Giovanni in Laterano, introdotto dal cardinale vicario Agostino Vallini. Una riflessione sul fine-vita alla luce del disegno di legge approvato dal Senato italiano ed ora all’esame della Camera. Mons. Rino Fisichella, presidente della Pontifica Accademia della Vita, ha moderato il dibattito, animato da Francesco D’Agostino, presidente onorario del Comitato nazionale per la Bioetica, e Maria Luisa Di Pietro, presidente dell’Associazione Scienza e Vita. Il servizio di Benedetta Capelli:RealAudioMP3

Un interrogativo semplice, diretto ma che necessita chiarezza. Quando finisce la vita? Di quale vita parliamo? Ed è lecito porre fine all’esistenza? Può una legge dello Stato disciplinare questa materia? Molte domande scaturite soprattutto dalla vicenda di Eluana Englaro che ha disorientato l’Italia e allo stesso tempo ha portato il Senato ad approvare un disegno di legge sul fine-vita. Il dibattito non si è certo spento e l’auspicio dell'arcivescovo, Rino Fisichella è di arrivare ad “una visione condivisa” che riporti tranquillità. Il presidente della Pontifica Accademia della Vita evidenzia l’importanza di un ruolo attivo della Chiesa, che “ha il diritto di far sentire la sua voce” e suggerisce un binomio efficace per arrivare ad una posizione comune tra le tante teorie sul fine-vita:

“Su questo tema, fede e ragione possono e devono confrontarsi tra di loro; la verità dell’una deve sostenere quella raggiunta dall’altra, ed insieme permettere di condurre ad un giudizio che dia serenità alla coscienza, evitandole ulteriori conflitti.”

Interrogativi aperti dunque ma per il cardinale vicario, Agostino Vallini sono due i punti fermi sui quali innestare la discussione:

“Non possiamo accettare l’eutanasia e non possiamo accettare l’accanimento terapeutico, in mezzo, c’è una zona grigia, molto delicata, sulla quale si dibatte. Io penso che lo Stato dovrebbe esprimere, in negativo, una legge, cioè una legge minima che dica cosa non si deve fare”.

La fine della vita divide anche la comunità scientifica, che in questo termine racchiude una serie di situazioni cliniche che vanno dallo stato vegetativo persistente alle patologie degenerative. Quando finisce la vita allora per la bioetica? Maria Luisa Di Pietro, presidente dell’Associazione Scienza e Vita:

“La risposta è quella di continuare sempre a prendersi cura del malato, a prendersi cura della globalità della persona, anche laddove non è più possibile guarire. E non bisogna lasciare da sola la sua famiglia, perché dove c’è solitudine, dove c’è paura, dove c’è abbandono possono diffondersi delle idee anche rinunciatarie nei confronti della vita”.

Forte è dunque il rischio di una deriva sempre più materialistica e in questo senso il prof. Francesco D’Agostino, presidente onorario del Comitato nazionale per la Bioetica, ha parlato della distinzione tra vita biografica e vita biologica: una minaccia per la dignità di ogni persona:

“Quando la biografia ha perso ogni significato si pensa sia inutile difendere la biologia. Se un malato è entrato in una fase terminale - quindi biograficamente non può più essere presente nel mondo - è inutile battersi per farlo sopravvivere il più a lungo possibile. L’errore antropologico di questa prospettiva è sconfinato, perché parte dall’idea astratta che solo un soggetto in buona salute fisica abbia una vita degna di questo nome, ma è vero esattamente il contrario”.

Tante le prospettive del problema sul quale si può argomentare attraverso un’ottica allargata “perché - come ha detto mons. Rino Fisichella - non è eliminando ciò che la ragione non spiega” che si possono dare delle risposte:  
“Solo nella misura in cui si è capaci di dare una risposta carica di amore, allora si sarà in grado di affrontare la domanda sul senso del dolore e della morte. Contrariamente, la questione sul senso della vita sarà sempre sottoposta al ricatto dell’assurdo e non potrà incontrare l’uomo nell’istanza più personale, che è quella della vita, non della morte”.

Forte come la morte, si legge nel Cantico dei Cantici, è infatti l’amore: un sentimento sconvolgente e salvifico.







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