Al via le celebrazioni a chiusura dell’Anno dedicato a Sant’Anselmo
Si conclude con una settimana di manifestazioni che hanno inizio oggi l’Anno Anselmiano,
indetto dalla diocesi di Aosta nel IX centenario della morte di Sant’Anselmo. Proprio
nella città che ha dato i natali al monaco benedettino, presiederà liturgie ed iniziative
culturali il cardinale Giacomo Biffi, inviato speciale del Papa che ha scritto una
lettera per l’occasione. Anselmo di Aosta è morto il 21 aprile del 1109 e proprio
martedì si apre a Roma, al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, un simposio internazionale
sul pensiero dell’arcivescovo di Canterbury. Tiziana Campisi ha chiesto a don
Roberto Nardin, benedettino dell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore e docente dell’Università
Lateranense e dell’Ateneo anselmiano, quale contributo ha offerto alla storia la figura
di Sant’Anselmo:
R. – Direi
l’importanza della ragione, ovvero il poter indagare il mistero di Dio non semplicemente
dalla fede ma da una fede che indaga all’interno, sforzandosi di cogliere in profondità
le ragioni della fede, quindi una fede che dialoga con la ragione: al punto che Anselmo
direbbe: si potrebbero togliere alcuni “pezzetti” di fede e la ragione me li farebbe
vedere perché c’è un legame talmente forte tra fede e ragione che se manca “un pezzetto”
di fede la ragione mi mostra quel pezzetto. Quindi c’è un legame molto forte, non
c’è antagonismo, ma collaborazione, con la preminenza della fede. Non è la ragione
che dimostra la fede, è la fede che indaga nella ragione.
D.
– Come si rivolgerebbe Sant’Anselmo all’uomo di oggi?
R.
– Io direi: avere più fiducia nella ragione. Oggi siamo nell’epoca del pensiero debole,
dove il piccolo frammento che la ragione intuisce ha la pretesa di essere assoluto.
Sono adesso sempre di più i “fondamentalismi”, dove il piccolo frammento ha la pretesa
di ergersi come dignità assoluta, ha la pretesa di diventare Dio; c’è una “visione
idolatrica” dei frammenti. Sant’Anselmo direbbe: è tutta la ragione che deve essere
indagata, non soltanto il frammento e, comunque, nella prospettiva della fede.
D.
- Cosa può “regalare” l’Anno anselmiano alla Chiesa?
R.
– Questa apertura del cuore nel cogliere la totalità della realtà, come ha fatto Anselmo.
Guardando la vita di Anselmo vediamo una vita che ha accolto la fedeltà della sua
vocazione nella storia. Ha fatto il monaco, veramente il monaco. Poi è arrivata la
vocazione episcopale: ha fatto veramente l’arcivescovo, ha sofferto l’esilio due volte
pur di tenere fede alla vocazione di custode della Chiesa in Inghilterra.
D.
– Ci può lasciare con un pensiero, con parole di Sant’Anselmo?
R.
– Il programma di Anselmo è molto lineare, limpido: “Fides quaerens intellectum”,
è proprio la fede che cerca l’intelletto, che cerca la ragione, una fede matura, una
fede che accoglie il volto di Cristo nella propria vita, quindi, non una fede astratta,
teorica, intellettuale, ma una fede vissuta, una ricerca profonda, con tutto il cuore
con tutto me stesso, non solo con una parte; e infine la ragione che diventa l’obiettivo
con il quale comprendere ancora meglio la fede.