Ha preso il via questa mattina la prima fase delle elezioni legislative in India,
che porterà al rinnovo della Camera bassa e alla formazione di un nuovo governo. La
tornata elettorale, che vede oggi protagonisti gli Stati settentrionali e orientali,
è stata purtroppo già funestata dalle violenze. I ribelli maoisti dell’est hanno,
infatti, ucciso 16 persone. Da New Delhi, ci riferisce Maria Grazia Coggiola:
Oltre 140
milioni di elettori in 17 Stati sono chiamati alle urne, in questa prima di cinque
tornate delle elezioni, che termineranno il prossimo 13 maggio. Per la seconda volta
il voto è interamente elettronico. Questa prima fase elettorale interessa in particolare
gli Stati nord e centro orientali, il meridionale Kerala e parte dello Stato di Jammu
e Kashmir. Al voto anche il distretto di Kandamali, in Orissa, teatro l’anno scorso
delle violenze contro i cristiani. Per proteggere gli elettori dalle minacce dei maoisti,
che hanno chiesto il boicottaggio del voto, davanti ai seggi è stato dispiegato l’esercito,
ma in alcune zone del Chhattisgarh e Jharkhand, che sorgono
sul corridoio rosso, controllato dalla guerriglia maoista, in differenti episodi di
violenza sono morte diverse persone. Lo scrutinio finale è previsto per il 16 maggio
e la sfida è tra l’attuale maggioranza di centro-sinistra, guidata dal Congresso di
Sonia Gandhi, e l’opposizione indu nazionalista del Bjp. Ma sempre più a determinare
i destini del governo di New Delhi saranno i partiti regionali, tra cui quello di
Mayawati, la leader dell’Uttar Pradesh, che ha saputo raccogliere i
consensi dei Dalit, degli ex intoccabili, e dei ceti sociali più emarginati.
Le
elezioni coinvolgeranno oltre 714 milioni di persone distribuite in più di 800mila
seggi elettorali. A caratterizzare il voto non sarà tuttavia la presenza di grandi
movimenti di massa, anche perché il panorama politico appare estremamente frammentato
e diversificato in base alle caratteristiche dei singoli distretti e delle regioni.
Stefano Leszczynski ha intervistato Michelguglielmo Torri, presidente
dell’Osservatorio Asia Maior.
R. – Sono
elezioni molto importanti, perché va al voto un Paese che non solo è il secondo Paese
più popoloso del mondo, ma è anche un Paese che bene o male continua ad avere un’economia
che cresce. Il problema qui è che è abbastanza difficile fare delle previsioni certe
su quanto succederà durante queste elezioni. Una cosa chiara è che in India in questo
momento non c’è un movimento massiccio dell’opinione pubblica in un senso o in un
altro. Non solo, c’è una situazione in cui i due maggiori partiti, il Congresso che
è attualmente al potere, a capo di un’ampia coalizione, e il Bjp, che è stato al potere
in passato, anch’esso a capo di un’ampia coalizione, sembrano entrambi in difficoltà.
C’è un movimento in corso di formazione di un cosiddetto terzo fronte. Per adesso
non è ancora chiaro se questo terzo fronte effettivamente prenderà corpo, ma c’è una
linea di tendenza.
D. - Un panorama politico estremamente
frammentato. Quanto entrano ad esempio i problemi confessionali?
R.
- I problemi confessionali sono problemi forti, nel senso che, in particolare, c’è
un partito, il Bjp, che è il secondo partito indiano e che era il partito leader dell’opposizione
e che è espressione del fondamentalismo indù, che sta puntando molto sull’estremizzazione
della contrapposizione fra indù e musulmani.
D. -
In questo contesto appare del tutto defilata la comunità cristiana. Questo è dovuto,
secondo lei, alle recenti violenze che ci sono state o è una precisa scelta della
comunità cristiana, che non ha uno spazio politico, non ha un punto di riferimento
politico?
R. – Il problema è il sistema elettorale
indiano. Si tratta di un sistema maggioritario puro e questo svantaggia le minoranze.
Cosa succede in questa situazione? Succede che sia i musulmani che i cristiani non
possono avere un loro partito, perché sarebbe inevitabilmente destinato a perdere
in questo tipo di sistema elettorale. Questo però non significa che siano impotenti,
ma significa semplicemente che gli elettori musulmani e cristiani, come del resto
tutti gli elettori indiani, hanno imparato che in certi casi non possono votare per
il partito per cui farebbe piacere votare e che bisogna dare un voto strategico, bisogna
votare contro il partito che rappresenta una minaccia nei confronti della comunità
o nei confronti di una determinata classe sociale.
E
la Conferenza episcopale indiana ha invitato la comunità cattolica del Paese a partecipare
ad una ‘campagna di preghiera’ che si svolgerà fino al termine delle elezioni legislative
e all’insediamento del nuovo governo. In un comunicato i vescovi indiani rammentano
alla comunità cristiana la responsabilità di prendere parte attivamente alla vita
politica del Paese per sostenere i principi di democrazia e pluralismo garantiti dalla
Costituzione. Sulle priorità che gli elettori indiani ritengono debbano essere affrontate
dal prossimo governo sentiamo il segretario generale della Conferenza episcopale indiana,
arcivescovo Stanislaus Fernandes, raggiunto telefonicamente da Kelsea Brennan-Wessels.
R. – Indian
voters are... Gli elettori indiani sono innanzitutto preoccupati del benessere
sociale, loro e delle proprie comunità. Quindi c’è una questione economica a caratterizzare
le elezioni. Gli altri problemi riguardano certamente la questione della povertà diffusa.
Gli scontri che periodicamente si verificano nel nord est del Paese hanno la loro
causa proprio nella diffusa povertà, aggravata dal fenomeno dell’immigrazione illegale.
Certo, ci sono anche delle divisioni etniche, ma la causa dei disordini non va ricercata
in problemi di tipo religioso.