Pyongyang ha risposto alla condanna Onu per il test missilistico dello scorso 5 aprile
espellendo gli osservatori dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’Energia atomica
dalla centrale nucleare di Yongbyon, e annunciando anche la riattivazione della struttura
stessa. Il Giappone invita la Corea del Nord a tornare al tavolo dei negoziati a sei
e a riprendere i colloqui sul processo di denuclearizzazione della penisola coreana,
così come tutta la comunità internazionale. Giancarlo La Vella ha chiesto a Francesco
Sisci, corrispondente dall’Estremo Oriente per il quotidiano La Stampa, il perché
di questa chiusura da parte della Corea del Nord: R. - Perché
c’è la diffidenza profonda di Pyongyang verso tutti. In secondo luogo, Pyongyang aveva
scelto proprio questi mesi per fare questo esperimento perché sapeva chiaramente di
avere davanti sei mesi di buon tempo per affrontare delle trattative. Infatti, in
questi sei mesi la Corea del Nord può fare a meno degli aiuti cinesi per quanto riguarda
l’olio pesante ed anche il grano, visto che tra poco ci sarà il raccolto. Io non credo
si tratti di una volontà di andare alla guerra, ma semplicemente di una tattica di
trattativa. Credo che alla fine il problema sia sempre lo stesso, cioè che la Corea
del Nord vuole più aiuti pagando politicamente il meno possibile. D.
- La questione nordcoreana, nell’ambito di tutta la regione estremorientale, può costituire
motivo di destabilizzazione? R. - Questa è la speranza della
Corea del Nord: cerca di usare questo suo potenziale militare come minaccia e arma
di ricatto per poi ottenere dei vantaggi economici. D. - Perché
tornare su questo atteggiamento con la presidenza Obama che, a livello internazionale,
sembra completamente diversa dall’amministrazione Bush? R. -
Perché sostanzialmente la Corea del Nord sembra pensare che con questo atteggiamento
duro possa indurre l’America a concessioni maggiori e a posizioni più morbide. Certo
che se tra tre mesi non si è trovata una soluzione, la situazione potrebbe diventare
di nuovo tesa.