2009-04-15 13:00:10

Incontro a Beida tra autorità libiche e comunità cattolica: intervista con mons. Martinelli


Televisione e stampa libica hanno dato grande risalto all’incontro di amicizia organizzato lunedì scorso a Beida dalle autorità locali con la comunità cattolica. Da parte libica erano presenti Sayf al-Islam, il figlio secondogenito del colonnello Gheddafi, il ministro della Sanità e il direttore degli Affari religiosi; da parte cattolica hanno partecipato i vicari apostolici di Tripoli e Bengàsi con i 15 sacerdoti e le 70 religiose presenti in Libia, portati a Beida con un apposito aereo. Sul significato di questo evento Sergio Centofanti ha sentito il vicario apostolico di Tripoli, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli:RealAudioMP3

R. – Le autorità libiche hanno voluto presentare questo incontro come cammino di un dialogo tra le religioni, quindi dialogo di vita: è stato anche il desiderio di far conoscere al Paese, ai libici stessi ma anche al di fuori, questa tolleranza all’interno del Paese nei confronti della Chiesa, nonostante certamente alcune difficoltà non mancano.

 
D. – Quali sono le vostre difficoltà?

 
R. – Abbiamo avuto in questi ultimi tempi alcune difficoltà per quanto riguarda i visti: i visti delle religiose e dei sacerdoti. Ma speriamo di risolvere questo problema in breve tempo, perché ci siamo chiariti anche con le autorità: siamo qui al servizio e non abbiamo altre intenzioni se non quelle di servire la gente, i cristiani e quindi anche assistere i libici.

 
D. – Si parla spesso di reciprocità di diritti: qual è il caso della Libia?

 
R. – Di fatto, noi abbiamo libertà religiosa, in Libia, libertà nel culto per il servizio ai cristiani. In Italia, i musulmani hanno i loro luoghi di culto, perché sono dati loro facilmente. Qui, grazie a Dio, quello che abbiamo è la libertà di poter servire i cristiani ovunque si trovino: questa è una cosa molto importante di cui noi abbiamo bisogno. Certamente, in altri Paesi musulmani non esiste questa reciprocità.

 
D. – Come vive la comunità cristiana in Libia?

 
R. – C’è grande rispetto. Noi abbiamo due chiese, una a Tripoli l’altra a Bengasi, ma il nostro servizio pastorale è prevalentemente nei diversi campi di lavoro al di fuori della città. Poi c’è un servizio sociale, anche di assistenza a questa massa di immigrati che arriva dall’estero – sono tutti africani subsahariani – che vengono in Libia in cerca di lavoro e in cerca di pace: sono persone molto povere. Quindi, noi cerchiamo di accoglierli, preghiamo con loro e li assistiamo come possiamo. Certo, è una grossa sfida l’immigrazione in questo Paese. E i libici, devo dire, che sono quanto mai comprensivi, soprattutto nel concederci i permessi per visitare tanta gente nelle prigioni o nei centri di raccolta. Purtroppo è un problema che ci colpisce direttamente, perché gli immigrati cristiani li vediamo passare qui, dalla chiesa, e con tutta semplicità a volte ci chiedono anche la benedizione. Perché? Perché devono attraversare il mare. Certo, è una tragedia grande!

 
D. – Cosa si augura per la Chiesa in Libia?

 
R. – Io mi auguro che veramente possa corrispondere alle esigenze di una crescita di dialogo, perché c’è una forza positiva dell’islam a cui noi dobbiamo veramente tendere la mano per crescere insieme in questa comune volontà di liberarci da tutti i fondamentalismi. Quindi, queste forze positive devono essere incoraggiate per camminare insieme nella libertà, nel servizio all’uomo e nel rispetto dei diritti dell’uomo.







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