Terremoto in Abruzzo. Il 30% delle case è inagibile. Pioggia e vento a L'Aquila
Ad una settimana di distanza dal sisma che ha provocato 294 morti in Abruzzo, lo sciame
sisimico sembra finalmente in diminuzione. Dalla scorsa notte però nelle tendopoli
disagi in aumento per il vento e la pioggia. La Protezione civile ha accelerato i
tempi per l’arrivo di altre stufe e coperte. Massimiliano Menichetti ha raggiunto
telefonicamente nel Capoluogo Abruzzese Luca Liverani, inviato del quotidiano
Avvenire:
Insieme ai
Vigili del Fuoco prosegue il lavoro della Protezione Civile per le verifiche di agibilità
e stabilità degli edifici dell’Aquila. E la Procura della Repubblica del capoluogo
indaga su eventuali responsabilità penali legate ai crolli. Giampiero Guadagni:
Il sindaco
de L’Aquila, Massimo Cialente, è certamente tra le personalità istituzionali
più impegnate in questi giorni nell’area del sisma. Il nostro inviato, Giancarlo
La Vella, gli ha chiesto se la fase della prima emergenza possa considerarsi conclusa:
R. -
Non completamente, anche perché adesso dobbiamo completare la fase della "urbanizzazione"
delle tendopoli. In alcune tendopoli è tutto perfetto, ormai stanno chiedendoci le
antenne per le televisioni: siamo a questo. C’è già il riscaldamento, le docce… In
altre tendopoli dobbiamo ancora completare l'allestimento, ma si consideri che sono
in tutto 60. Io spero che le feste di questi giorni siano proprio una Pasqua di resurrezione,
perché c’è una grande voglia di ripartire, e spero si riesca a trovare anche in una
fase così drammatica lo spirito della Pasqua, che è sempre di serenità.
Nonostante
la terra continui a tremare - circa 10 mila le scosse totali registrate dal 6 aprile
- da domani saranno di nuovo al lavoro tutti i dipendenti comunali de L’Aquila - tranne
quelli colpiti da lutti particolarmente gravi - mentre nella tendopoli di Poggio Picenze
i bambini delle elementari potranno riprendere a studiare. Sono i primi inizi di un
ritorno alla normalità in una regione che nel suo complesso ha subito col terremoto
del 6 aprile un ulteriore colpo ad una situazione complessiva poco rosea dal punto
di vista economico. Alessandro Guarasci ha domandato a Giovanni Smargiassi,
presidente della sezione abruzzese dell’Ucid, l'Unione cristiana imprenditori dirigenti,
quali settori abbiano più risentito di questa emergenza:
R. -
Il commercio, l’artigianato e anche un po’ l’agricoltura da quello che abbiamo sentito.
Io ho sentito addirittura che le Agenzie delle entrate sono chiuse. E’ stata colpita
veramente la città.
D. - Il governo inizialmente è intervenuto con
uno stanziamento, ad esempio, di 800 euro al mese per i lavoratori autonomi...
R.
- E questo è interessante, perché è la prima volta che si fa qualcosa di simile.
D.
- Secondo lei, questi interventi bastano oppure bisognerà approntare un piano straordinario
di ammortizzatori sociali?
R. - Quello sicuramente, perché abbiamo
visto che questo è dedicato soltanto alle attività private. C’è qualcuno, qualche
imprenditore, che continua a dare lo stipendio anche agli operai che non lavorano,
ma la questione è irrilevante, è solo a livello personale. Sarebbe opportuno allargare
un po’ i cordoni della borsa in questo senso.
D. - La regione era già
stata duramente provata dalla crisi economica che ha colpito tutto il mondo?
R.
- La regione era in crisi principalmente per le grosse aziende. Ci sono i rinnovi
dei contratti a termine che non sono stati più fatti, c’è stato qualche licenziamento
e un po’ di cassa integrazione. A livello artigianale o della piccola impresa ha dato
invece segni di resistenza maggiore.
D. - Presidente Smargiassi, in
questo momento, però, quello che sembra fondamentale è il ruolo delle banche, ovvero
coloro che detengono i capitali. Bisognerà prevedere una maggiore elasticità sia nei
prestiti alle famiglie, sia alle imprese, in questo momento, secondo lei?
R.
- Sicuramente, questo è uno degli aspetti importanti, perché io ho notato veramente
che è ristretto il margine per accedere al credito. Le banche, anche quelle locali,
non erano propense né a fare i mutui né i leasing.
D. - Ci sarà bisogno
anche di meno burocrazia per ripartire?
R. - Sono necessari i controlli,
affinché tutto vada fatto per bene, e forse una burocrazia meno attenta alle procedure,
ma più alla sostanza.
In questi giorni di estenuante lavoro da parte
di Protezione civile, Vigili del Fuoco, volontari e di tutte le Forze dell’ordine,
molti esempi di dedizione e di generosità sono emersi nei vari contesti dove si cerca
di alleviare il più possibile i disagi dei terremotati. Ma la generosità può nascere
anche nel cuore di chi ha perso tutto e vive in condizioni di sfollato. E’ il caso
di un giovane, Marco, che racconta la sua esperienza al microfono di Giancarlo
La Vella:
R. -
Un po’ di sconforto c’è sempre, però la voglia di ricominciare è tanta. Non siamo
andati via nonostante tutti gli inviti che ci hanno rivolto gli amici: non ci sembra
il caso di abbandonare tutto e di andare via.
D. - Rimanere ancorati
alla propria terra ha un particolare significato, vuol dire rimanere ancorati a che
cosa?
R. - Alla speranza di ricominciare tutto. Certo, sono crollate
molte speranze, molti sogni che c’erano prima. Ma speriamo di realizzare tutti i sogni
che avevamo.
D. - Tu stai arricchendo la tua presenza nella tendopoli
dando una mano ai volontari: una spinta in più per ricominciare?
R.
- Sì. Anche per non pensarci: il primo e il secondo giorno sono stati abbastanza pesanti,
la sera, in macchina per dormire. Però, fa piacere avere incontrato tanti ragazzi,
tanti amici che ci hanno aiutato tanto e noi vogliamo contraccambiare in qualche maniera.
La
testimonianza di questo giovane abruzzese è emblematica di una capacità di sopportazione
e di reazione al disastro da parte dei terremotati abruzzesi, che ha molto colpito
i soccorritori e che più volte è stata enfatizzata in questi giorni. Un aspetto sul
quale si sofferma - nell'intervista di Federico Piana - il vescovo di Sulmona-Valva,
mons. Angelo Spina, altra diocesi che ha subito seri danni a causa del sisma:
R. -
La gente d’Abruzzo ha in se stessa un Dna fortissimo: hanno tutti un’alta dignità,
quindi trovano in se stessi la forza per rinascere, perché questa terra è stata provata
da tanti terremoti, da tante calamità e poi anche da un fenomeno molto vasto, che
è stato quello dell'emigrazione. Io sono convinto che il temperamento di queste persone
già sia pronto per la ricostruzione. E poi, è un popolo ricco di fede, ricco di amore
per Dio, e allora la fede proietta luce nuova, riapre alla speranza. E’ proprio questa,
penso, la molla per rinascere.
D. - Ai suoi fedeli, che nel proprio
intimo avranno gridato al Signore: “Perché mi hai abbandonato?”, cosa può dire?
R.
- E’ stata forte, questa parola e questo interrogativo, perché nella mia diocesi di
Sulmona ho 28 paesi segnati dal terremoto. Le chiese sono chiuse, quindi non sono
agibili, ci sono in alcuni paesi - per fortuna non i morti ma gli sfollati. E allora:
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, io direi che è proprio il grido di
chi chiede aiuto. E qui c’è il silenzio di Dio. Noi sappiamo che Dio sta in silenzio
quando il Figlio prega così. Benedetto XVI ha detto nella sua prima enciclica Deus
caritas est che Dio volge contro se stesso questo danno, questa sofferenza, proprio
per farci capire che ci ama. Gesù che grida “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”,
pone poi tutto nelle mani di Dio: “Nelle tue mani consegno la mia vita”. E’ il silenzio
di Dio che sta soffrendo per noi: è questo il segno che ci ama e già prepara la risurrezione.
D.
- In qualche modo, le persone che stanno soffrendo stanno condividendo le sofferenze
patite da Gesù sulla Croce?
R. - Quando uno dice: ma dov’è Dio, in
questo momento?, io rispondo che è proprio qui, nel suo Corpo mistico che è la Chiesa,
in queste membra doloranti, in queste sofferenze atroci che si vivono: mancanza di
casa, disorientamento, freddo, il portare sul proprio corpo le ferite di un terremoto,
la lacerazione della morte. Ecco, Dio sta qui, sta con noi, non è lontano.
D.
- Soprattutto in questi casi così drammatici è importante la preghiera. Abbiamo visto
molte persone pregare, dopo il terremoto. Quindi, c’è una riscoperta dell’importanza
della preghiera?
R. - Pregare è lasciarsi amare da Dio: quando si prega sentiamo
fortemente l’amore di Dio, e quello regge. Se Dio regge il mondo, regge anche noi.