2009-04-11 14:53:23

La morte di Cristo dà senso alla sofferenza: così padre Cantalamessa nella celebrazione della Passione in Vaticano


“Con la sua morte, Cristo ha dato un senso nuovo alla sofferenza”: così il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, ieri pomeriggio durante la celebrazione della Passione del Signore presieduta dal Papa nella Basilica Vaticana. Il peccato, cioè il rifiuto di Dio – ha detto il religioso cappuccino - è la causa principale dell'infelicità degli uomini, non Dio come l’ateismo vorrebbe far credere. Il servizio è di Paolo Ondarza.RealAudioMP3

“Senza Dio la vita è un giorno che termina nella notte; con Dio è una notte che termina nel giorno, e un giorno senza tramonto”. Le riflessioni di padre Cantalamessa nel Venerdì Santo, sono centrate sulla testimonianza di Paolo nell’anno a lui dedicato L’Apostolo delle genti offre risposte alle sfide attuali della fede poste dalle contemporanee battaglie condotte da gruppi atei: come quella degli slogan sui bus di varie città italiane: “Dio probabilmente non esiste. Dunque smetti di tormentarti e goditi la vita”. Ma come può godersela – ha chiesto padre Cantalamessa – chi ha subito gravi ingiustizie dalla vita?

 
"Il messaggio sottinteso è che la fede in Dio impedisce di godere la vita, è nemica della gioia. Senza di essa ci sarebbe più felicità nel mondo!".

Una visione questa che ha radici antiche difficili da estirpare e che propone la sofferenza come necessaria per espiare il peccato. “E’ questo – ha notato padre Cantalamessa – che ha provocato in epoca moderna il rigetto di ogni idea di sacrificio offerto a Dio e l’idea stessa di Dio”. Ma si tratta di un equivoco che San Paolo aiuta a smascherare quando afferma che non è l’uomo ad esercitare un’influenza su Dio perché questi si plachi, ma è Dio ad agire perché l’uomo desista dalla propria inimicizia contro di lui e verso il prossimo:

 
"La salvezza non inizia con la richiesta di riconciliazione da parte dell’uomo, bensì con la richiesta di Dio: ‘Lasciatevi riconciliare con Lui'".

Per l’Apostolo delle genti è il peccato, cioè il rifiuto di Dio, la causa principale dell’infelicità, non Dio. Il peccato è dietro la crisi economica in atto, dietro le inadempienze di chi ha costruito gli edifici crollati in Abruzzo:

"Perché tante famiglie ridotte al lastrico, masse di operai che rimangono senza lavoro, se non per la sete insaziabile di profitto da parte di alcuni? Perchè nel terremoto in Abruzzo sono crollati tanti palazzi costruiti di recente? Cosa aveva indotto a mettere sabbia al posto del cemento?".

Morendo Cristo ha vinto il peccato, ha dato senso alla sofferenza che non dipende dal peccato di nessuno. La sofferenza, specialmente quella degli innocenti – ha aggiunto padre Cantalamessa – è un mistero che, senza la fede in Dio diviene immensamente più assurda, le si toglie anche l’ultima speranza di riscatto. L’ateismo – ha proseguito – è un lusso che possono concedersi solo i privilegiati della vita, quelli che hanno avuto tutto”.

 
Con la sua morte Cristo - ha detto padre Cantalamessa – ha ribaltato il rapporto tra piacere e dolore, scegliendo non un piacere che termina in dolore come quello di chi cerca felicità dalla droga, dall’abuso del sesso, dalla violenza omicida; ma una sofferenza che porta alla vita e alla gioia:

 
"I giovani dovrebbero conoscere questa rivoluzione. Loro, a cui Satana tenta di far credere che Dio è il nemico della gioia, che se credono in Dio dovranno dire addio all’allegria. Cristo ha ribaltato, ha fatto una rivoluzione. E’ la gioia, in questo modo, ad avere l’ultima parola, non la sofferenza, e una gioia che durerà in eterno. 'Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui' (Rom 6,9). E non lo avrà neppure su di noi".

 
Cristo – ha aggiunto il padre francescano - non è venuto a predicare la rassegnazione alla sofferenza, è venuto a darle senso, ad annunciarne la fine e il superamento. La vita di San Paolo – ha concluso padre Cantalamessa – insegna che Dio, attraverso l’esperienza della Croce di Cristo, è capace di fare dei suoi negatori più accaniti i suoi apostoli più appassionati.







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