Il Papa alla Via Crucis: in Cristo comprendiamo il mistero della sofferenza. Intervista
col vescovo di Guwahati, autore delle meditazioni
Questo pomeriggio, alle 17.00, il Papa presiederà nella Basilica Vaticana la Celebrazione
della Passione del Signore. Alle 21.15 la tradizionale Via Crucis al Colosseo con
le meditazioni dell’arcivescovo indiano di Guwahati, mons. Thomas Menamparampil. Il
servizio di Sergio Centofanti.
“Siamo venuti
a cantare insieme un inno di speranza”: è quanto afferma Benedetto XVI nell’introduzione
alla Via Crucis di questa sera, come riportato dal libretto già pubblicato dalla Libreria
Editrice Vaticana e nell’edizione odierna dell’Osservatore Romano. “Vogliamo dire
a noi stessi – sottolinea il Papa - che tutto non è perduto nei momenti di difficoltà.
Quando le cattive notizie si susseguono, siamo oppressi dall'ansia. Quando la disgrazia
ci colpisce più da vicino, ci scoraggiamo. Quando una calamità fa di noi le sue vittime,
la fiducia in noi stessi è del tutto scossa e la nostra fede è messa alla prova”.
Ma è “in Cristo che comprendiamo il pieno significato della sofferenza” e il “suo
valore redentivo”– dice il Papa: “sotto la superficie di calamità naturali, guerre,
rivoluzioni e conflitti di ogni genere, vi è una presenza silenziosa, vi è un'azione
divina mirata” perché dal male nasca il bene. “Continuiamo a confidare nel Signore
– afferma il Pontefice - poiché egli salva coloro che hanno perduto ogni speranza”.
Quelli che non vedono “nessun motivo per credere e sperare”. Eppure sperano “contro
ogni speranza” e “questa speranza alla fine non delude”. Questa sera porteranno la
croce al Colosseo, oltre al cardinale vicario Agostino Vallini, una ragazza e due
suore dell’India, due giovani del Burkina Faso, due frati della Custodia di Terra
Santa, una famiglia romana, un giovane disabile, un malato. Il Papa nell’introduzione
alla Via Crucis esorta tutti: "Siate forti, rendete saldo il vostro cuore, voi tutti
che sperate nel Signore" (Salmi, 31, 25).
Ma quale messaggio vuole lanciare
con le sue meditazioni mons. Menamparampil? Ascoltiamo il vescovo di Guwahati
al microfono di Antonella Palermo:
R. – For
me, the most important theme is the theme of hope: hope … Per me, l’argomento
più importante è la speranza: la speranza in tempi difficili, in tempi di prova, in
tempi di persecuzione e anche in tempi di crisi economica per il mondo intero. Noi
cristiani abbiamo sempre molta fiducia in Dio e crediamo nella sua presenza nella
nostra vita. Guardiamo alla Croce come segno della sofferenza alla quale Nostro Signore
stesso si è sottoposto, così da trovare il coraggio per seguirlo in questo cammino
con fiducia e fede.
D. – Come ha reagito quando ha
saputo che il Papa le aveva assegnato il compito di scrivere i testi per la Via Crucis
di quest’anno?
R. – I was so taken aback, so surprised,
that I didn’t know how to answer. … Sono stato preso in contropiede ed ero
talmente sorpreso che non ho saputo come rispondere. La prima risposta che ho dato
è stata: “Non sarò capace di farlo”, ma poi ho pensato che il Santo Padre stava riponendo
la sua fiducia in me e per manifestare il suo amore per l’India, per l’Asia, per i
cristiani che soffrono. E così ho detto: anche se sarà molto impegnativo per me, voglio
accettare. Ed è stato ancora più difficile, perché in quel periodo andavo nei villaggi
con dei seminaristi e altri giovani a portare aiuto ai più poveri, persone che lottano
ogni giorno per sopravvivere. Mi sono detto: il Signore mi aiuterà! Ho scritto quindi
le meditazioni in questi villaggi e spero che per la vicinanza a quella realtà umana
di dolore e forse anche di ingiustizia, spero che le mie parole possano avere un significato
particolare.
D. – Lei vive in uno Stato indiano –
l’Arunajal Pradesh – che fino al 1978 era proibito agli evangelizzatori cristiani.
Grazie a lei, invece, il Vangelo è riuscito ad approdare anche in questa regione dell’India
…
R. – What you said is true. In Arunajal Pradesh
there were very few Christians … E’ vero quello che lei dice. Nell’Arunjal
Pradesh c’erano pochissimi cristiani e l’evangelizzazione non era consentita. Ma i
giovani del Paese hanno detto: noi vogliamo Gesù, vogliamo la Chiesa, vogliamo il
cristianesimo ed hanno accettato Gesù, si sono convinti sempre di più e per questo
oggi abbiamo due diocesi nell’Arunjal Pradesh, che si sono sviluppate molto rapidamente.
La mia diocesi è piccola, ha circa 20 anni e noi siamo circa 80 mila cattolici che
sono molto legati alla loro fede; con l’aiuto della Chiesa, ricevono l’educazione
scolastica e penso che abbiano grandi prospettive per il futuro. Abbiamo anche le
prime vocazioni, molte vocazioni da questa Chiesa giovane. Esse aiutano oggi la nostra
stessa Chiesa di Guwahati, ma forse domani potranno aiutare le altre diocesi e forse
anche altri Paesi del mondo!
D. – La Chiesa universale
sta scommettendo molto sulla Chiesa asiatica. In quali condizioni vive oggi la Chiesa
in Asia?
R. – I think the Catholic Church in Asia,
which is beginning to play a very important … Credo che la Chiesa cattolica
in Asia stia assumendo un ruolo sempre più importante non solo in Asia ma anche in
altre parti del mondo. Il mio messaggio ai cristiani d’Asia è che essi debbono sentire
la responsabilità e non orgoglio e gloria per il contributo che oggi possiamo dare
alla Chiesa nel mondo: un grande, umile e profondo senso di responsabilità, perché
quello che abbiamo ricevuto dalla Chiesa nel passato, ora, che ne siamo capaci, dobbiamo
cercare di restituire alla Chiesa universale.
D.
– Cosa si sente di chiedere al mondo occidentale per la Chiesa in India e in Asia
in generale?
R. – We feel a brotherly affection and
a great desire that Western Church will see … Abbiamo un affetto fraterno
ed un grande desiderio che la Chiesa d’Occidente possa vivere un rinnovamento dello
Spirito, che ci sia un risveglio della fede e nuove vocazioni in modo che la Chiesa
universale ne possa beneficiare. Preghiamo sempre affinché le comunità dei vari Paesi,
dell’Europa, per esempio, possano guardare alle proprie radici e riconoscere come
la Chiesa cattolica ha svolto nei loro Paesi lo stesso ruolo che sta svolgendo ora
nei Paesi nuovi, in Asia e Africa. All’inizio, i missionari hanno svolto un duro lavoro
– ricordiamo San Patrizio, San Bonifacio, Sant’Agostino ed i grandi pionieri: è un
duro lavoro che stiamo continuando noi ora in Asia. D’altro canto, le Chiese in Europa
possono guardare con orgoglio e con grande gioia alle loro radici perché esse portano
nuova vita alla Chiesa universale. (Traduzione di Gloria Fontana)