Funerali all'Aquila. Il Papa: Dio doni a tutti il coraggio di continuare a sperare.
Il cardinale Bertone: Gesù crocifisso trasformi questa morte in amore
Duecentocinque bare - su 289 vittime totali - disposte su quattro file: è questo il
commovente colpo d’occhio offerto dalla piazza d'Armi della Scuola Ispettori della
Guardia di Finanza di Coppito, vicino L’Aquila, dove alle 11 di questa mattina si
sono svolti i funerali di Stato delle vittime del terremoto in Abruzzo. A presiedere
la cerimonia è stato, a nome di Benedetto XVI, il cardinale segretario di Stato, Tarcisio
Bertone, affiancato, fra gli altri, dal segretario particolare del Papa, mons. Georg
Gänswein, dall'arcivescovo dell'Aquila, Giuseppe Molinari, e da 18 vescovi in rappresentanza
delle diocesi abruzzesi e delle regioni italiane. Presenti alle esequie le massime
autorità italiane, dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al capo del
governo, Silvio Berlusconi, ai presidenti di Camera e Senato. Il racconto della celebrazione
nel servizio di Alessandro De Carolis:
(canto)
Due
ore prima dell’inizio, le esequie hanno già la loro icona di un dolore apparentemente
inconsolabile: una bara di mogano - allineata come le altre lungo una guida rossa
- e poggiata su di essa un’altra, in miniatura, solo poche dozzine di centimetri,
una macchia bianca troppo piccola per essere lì, troppo piccola addirittura per essere
pianta. Quella miniatura bianca non è la sola: altre quattro sono posizionate così,
sopra o accanto alle loro mamme, in un ultimo contatto che sostituisce abbracci e
coccole, spezzati per sempre alle 3.32 di una notte che ha seminato macerie anche
nel cuore di chi è sopravvissuto.
(canto)
Quelle
cinque bare, più di tutte, sono “l’enigma indecifrabile della morte”. Usa questa espressione
il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che il Papa, insieme con il suo
segretario particolare, mons. Georg Gänswein, ha voluto accanto
ai vivi e ai morti di una tragedia che ha scosso non solo l’Italia. Un enigma che
parla di annientamento, di “assenza incolmabile”, se non fosse che l’apparente “silenzio
di Dio” è preludio, come ricorda proprio il Venerdì Santo, di risurrezione. Benedetto
XVI lo afferma in un Messaggio, cui presta voce il suo segretario particolare all’inizio
della Messa:
“In momenti come questi, fonte di
luce e di speranza resta la fede, che proprio in questi giorni ci parla della sofferenza
del Figlio di Dio fattosi uomo per noi: la sua passione, la sua morte e la sua risurrezione
siano per tutti sorgente di conforto ed aprano il cuore di ciascuno alla contemplazione
di quella vita in cui 'non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché
le cose di prima sono passate'”.
“Sono certo
che con l’impegno di tutti si può far fronte alle necessità più impellenti”, aggiunge
il Papa, assicurando che la Chiesa, in ogni ordine, grado e forma sarà in prima linea
con le istituzioni italiane nell’assistenza ai terremotati, come del resto - sottolinea
- già dimostra “la crescente onda di solidarietà” mostrata dai soccorritori. Benedetto
XVI eleva la sua preghiera a Dio perché tutti abbiano "il coraggio di continuare a
sperare senza cedere allo sconforto". Davanti all’altare è il momento in cui la memoria
degli scomparsi cerca di ricomporsi, in chi li ricorda, in uno spazio oltre il dolore,
pur fra le lacrime che quasi bagnano i feretri e i fiori che li ricoprono. E il cardinale
Bertone accompagna questo difficile percorso interiore con delicatezza
e rispetto. Come nel Crocifisso che si sentì abbandonato sul Calvario, afferma:
“Dio
può sembrare assente, il dolore può apparire una forza bruta e senza senso, le tenebre
degli occhi pieni di lacrime sembrano oscurare anche i più timidi raggi di sole e
di primavera. Eppure è proprio mentre si fa provocatrice la domanda: ‘Dov'è il tuo
Dio?’ che sentiamo emergere dal profondo la certezza dell'intervento amorevole di
Dio”.
Una domanda e una certezza che squarciano il
silenzio che gravò duemila anni fa sul Golgota e oggi sui tanti calvari che macerano
gli occhi e l’anima di chi si addossa alle salme, le accarezza, sussurra parole. Nel
silenzio della morte, la presenza di Dio diventa, afferma il cardinale Bertone, “una
fiaccola di speranza":
“La morte ci fa toccare con
mano che tutto in un attimo può cessare - sogni, progetti, speranze. Tutto finisce;
solo resta l’amore. Resta solo Dio che è Amore. In quest’ora di dolore e di smarrimento
profondo, è la Parola di Dio a sostenere la nostra fede, a confortarci e ad assicurarci
che nulla può cancellare la forza dell'amore”.
Come
il Papa nel suo messaggio, anche il segretario di Stato vaticano dà rilievo ai “valori
della solidarietà e della fraternità” che - riconosce - “l’Italia intera”, idealmente
unita alle vittime di questo dramma, ha una volta di più dimostrato di possedere “in
profondità”:
“Riprendiamo dunque il cammino, fratelli
e sorelle, insieme a Maria, portando insieme il dolore dell'incolmabile assenza dei
defunti, con una presenza più assidua, fraterna e amichevole presso le loro famiglie,
ancor più autenticamente diventate le nostre famiglie, nella grande famiglia dei figli
di Dio. Grazie all’aiuto materno della Madonna cercheremo di trarre dalla morte una
lezione di vita autenticamente cristiana. E sorretti dalla sua intercessione non temeremo
le difficoltà che pur sono davanti a noi”.
Sentimenti
che con diversa sensibilità religiosa, fa propri l’imam, Mohamed Nour Dacia, presidente
dell’Unione delle comunità islamiche, che prega al termine della Messa per le sei
persone di fede islamica rimaste senza vita sotto le macerie, ma anche - dice - per
tutti gli altri.
Contro lo scenario delle montagne
ancora imbiancate come la cima di quella piccolissima bara che continua ad attirare
preghiere e lacrime, termina il Venerdì Santo di un pezzo d’Abruzzo e di tanti altri
nel mondo. Sullo sfondo, la festa della Risurrezione. Sia la vostra consolazione,
è l’augurio del cardinale Bertone: “Sarà la vostra Pasqua, una Pasqua che rinascerà
ancora una volta dalle macerie di un popolo tante volte provato nella sua storia”.
Gli fanno ecco le parole finali dell’arcivescovo dell’Aquila Giuseppe Molinari,
piene di commozione quasi estenuata:
“Cari fratelli
e sorelle, colpiti negli affetti più cari, è il momento della grande fede, come mi
diceva il papà di due fratellini morti in questa tragedia. Una fede che è più forte
del dolore, dello smarrimento, della paura, del dubbio e della disperazione (…) Signore,
fa' che da questa insopportabile e assurda storia di morte nasca una nuova e luminosa
storia di vita e di speranza”.
(applausi
– canto) Ma ascoltiamo alcune voci raccolte da Massimiliano
Menichetti nel piazzale dove si sono svolti i funerali:
R. – Chiaramente,
si vuole testimoniare la vicinanza a coloro i quali hanno in questo momento purtroppo
perso delle cose che sono essenziali: hanno perso delle vite. Quindi, noi rispettiamo
il loro dolore e siamo vicini e vogliamo testimoniare la nostra vicinanza. Noi siamo
dei fortunati: abbiamo perso dei beni materiali, ma quelli li ricostruiremo …
D.
– Una città che si stringe in un momento di dolore così grande …
R.
– Sì. Sicuramente. Noi ci conosciamo tutti: noi, quando eravamo piccoli, eravamo pochi.
Gli amici miei stanno tutti qui …
D. – Cosa si può
dire in un momento di così grande dolore a chi soffre così tanto?
R.
– Che da Gesù, dal Vangelo, viene sempre la speranza, che non è spiegabile, che non
è comprensibile, che non è razionale però è qualcosa che è più forte di noi.
D.
– Che cosa portate in questa giornata di tanto dolore?
R.
– Portiamo il silenzio del cuore, portiamo un po’ di speranza. Abbiamo la scuola,
qui: quella scuola di Via XX Settembre, vicino alla Casa dello Studente che è crollata.
Hanno detto che forse abbiamo anche degli alunni che sono morti. Stavamo a Roma, ma
oggi siamo qua per loro.
D. – Lei dice: portiamo
anche della speranza …
R. – Portiamo il nostro affetto
con il silenzio perché in queste circostanze è meglio non parlare.
R.
– Oltre ai servizi materiali che si possono svolgere nei campi, stare vicino a loro
e far sentire a queste persone che non sono sole, che non sono abbandonate, che qualcuno
è loro vicino, che sono importanti.
D. – Qual è il
suo pensiero per queste persone che oggi soffrono?
R.
– Condividere con loro la sofferenza. Fermarmi, stare con loro, la preghiera con loro,
l’affetto, cercare degli spiragli di luce in questo buio … (Montaggio a cura
di Maria Brigini)
Sul mistero della sofferenza ecco la riflessione del
vescovo di Avezzano mons. Pietro Santoro, al microfono di Federico Piana:
R. – Una
sofferenza che quest’anno si riversa nella morte e nel dolore delle sorelle e dei
fratelli della Chiesa aquilana. E’ un mistero di domande lancinanti, che sconvolgono
e attraversano anche le dimensioni della fede, abbandonata ad invocazioni che chiedono
risposte: ma risposte della ragione non ci sono, come non ci furono quel Venerdì Santo,
quando sul Calvario moriva il Giusto, l’Innocente. Dice il Vangelo di Matteo: “Si
fece buio su tutta la terra, il velo del Tempio si squarciò in due, da cima a fondo,
la terra tremò e le rocce si spezzarono”. La prossimità della Croce di Cristo è stata
e sempre sarà prossimità alle oscurità della sofferenza dell’uomo, perché dentro questa
oscurità Cristo è voluto entrare non come spettatore impassibile ma come un abissale
assunzione del dolore.
D. – La Pasqua è Risurrezione…
R.
– E’ Risurrezione, ma la Risurrezione è soprattutto la dimensione della speranza perché
il Cristo Risorto non è una pagina del passato, il Cristo Risorto continua a camminare
nel volto e attraverso il volto delle persone. Non dimentichiamo che il Cristo Risorto
conserva le piaghe della Croce e dentro queste paghe bisogna leggere anche il volto
della speranza che per noi è Cristo, il Cristo che consola, che entra nelle dinamiche
del dolore, fa sue le lacrime di ogni persona e dice: nel mistero di queste lacrime
tu devi capire non soltanto le mie lacrime ma devi anche capire che c’è una certezza
di Risurrezione. Certo, in questo momento è difficile capire tutto questo. Quando
vedremo Cristo faccia a faccia e contempleremo il suo volto, allora sarà tolto il
velo e capiremo il perché di tutto questo. Adesso si tratta semplicemente di affidarsi
al cuore del Cristo Risorto e dire: tu, nonostante tutto cammini con noi, fai la nostra
vita, sei impastato con la nostra storia: fa' che il nostro dolore possa essere anche
un seme di Risurrezione per tutto quello che siamo riusciti a compiere e che riusciremo
a fare con Te, per Te e per la tua Chiesa. (Montaggio a cura di Maria Brigini)