Nel Cenacolo, la sera prima della sua passione,
il Signore ha pregato per i suoi discepoli riuniti intorno a Lui, guardando al contempo
in avanti alla comunità dei discepoli di tutti i secoli, a “quelli che crederanno
in me mediante la loro parola” (Gv 17, 20). Nella preghiera per i discepoli
di tutti i tempi Egli ha visto anche noi e ha pregato per noi. Ascoltiamo, che cosa
chiede per i Dodici e per noi qui riuniti: “Consacrali nella verità. La tua parola
è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per
loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (17, 17ss).
Il Signore chiede la nostra santificazione, la santificazione nella verità. E ci manda
per continuare la sua stessa missione. Ma c’è in questa preghiera una parola che attira
la nostra attenzione, ci sembra poco comprensibile. Gesù dice: “Per loro io consacro
me stesso”. Che cosa significa? Gesù non è forse di per sé “il Santo di Dio”, come
Pietro ha confessato nell’ora decisiva a Cafarnao (cfr Gv 6, 69)? Come può
ora consacrare, cioè santificare se stesso?
Per comprendere questo
dobbiamo soprattutto chiarire che cosa vogliono dire nella Bibbia le parole “santo”
e “consacrare/santificare”. “Santo” – con questa parola si descrive innanzitutto la
natura di Dio stesso, il suo modo d’essere tutto particolare, divino, che a Lui solo
è proprio. Egli solo è il vero e autentico Santo nel senso originario. Ogni altra
santità deriva da Lui, è partecipazione al suo modo d’essere. Egli è la Luce purissima,
la Verità e il Bene senza macchia. Consacrare qualcosa o qualcuno significa quindi
dare la cosa o la persona in proprietà a Dio, toglierla dall’ambito di ciò che è nostro
e immetterla nell’atmosfera sua, così che non appartenga più alle cose nostre, ma
sia totalmente di Dio. Consacrazione è dunque un togliere dal mondo e un consegnare
al Dio vivente. La cosa o la persona non appartiene più a noi, e neppure più a se
stessa, ma viene immersa in Dio. Un tale privarsi di una cosa per consegnarla a Dio,
lo chiamiamo poi anche sacrificio: questo non sarà più proprietà mia, ma proprietà
di Lui. Nell’Antico Testamento, la consegna di una persona a Dio, cioè la sua “santificazione”
si identifica con l’Ordinazione sacerdotale, e in questo modo si definisce anche in
che cosa consista il sacerdozio: è un passaggio di proprietà, un essere tolto dal
mondo e donato a Dio. Con ciò si evidenziano ora le due direzioni che fanno parte
del processo della santificazione/consacrazione. È un uscire dai contesti della vita
mondana – un “essere messi da parte” per Dio. Ma proprio per questo non è una segregazione.
Essere consegnati a Dio significa piuttosto essere posti a rappresentare gli altri.
Il sacerdote viene sottratto alle connessioni mondane e donato a Dio, e proprio così,
a partire da Dio, è disponibile per gli altri, per tutti. Quando Gesù dice: “Io mi
consacro”, Egli si fa insieme sacerdote e vittima. Pertanto Bultmann ha ragione traducendo
l’affermazione: “Io mi consacro” con “Io mi sacrifico”. Comprendiamo ora che cosa
avviene, quando Gesù dice: “Io mi consacro per loro”? È questo l’atto sacerdotale
in cui Gesù – l’Uomo Gesù, che è una cosa sola col Figlio di Dio – si consegna al
Padre per noi. È l’espressione del fatto che Egli è insieme sacerdote e vittima. Mi
consacro – mi sacrifico: questa parola abissale, che ci lascia gettare uno sguardo
nell’intimo del cuore di Gesù Cristo, dovrebbe sempre di nuovo essere oggetto della
nostra riflessione. In essa è racchiuso tutto il mistero della nostra redenzione.
E vi è contenuta anche l’origine del sacerdozio della Chiesa.
Solo
adesso possiamo comprendere fino in fondo la preghiera, che il Signore ha presentato
al Padre per i discepoli – per noi. “Consacrali nella verità”: è questo l’inserimento
degli apostoli nel sacerdozio di Gesù Cristo, l’istituzione del suo sacerdozio nuovo
per la comunità dei fedeli di tutti i tempi. “Consacrali nella verità”: è questa la
vera preghiera di consacrazione per gli apostoli. Il Signore chiede che Dio stesso
li attragga verso di sé, dentro la sua santità. Chiede che Egli li sottragga a se
stessi e li prenda come sua proprietà, affinché, a partire da Lui, essi possano svolgere
il servizio sacerdotale per il mondo. Questa preghiera di Gesù appare due volte in
forma leggermente modificata. Dobbiamo ambedue le volte ascoltare con molta attenzione,
per cominciare a capire almeno vagamente la cosa sublime che qui sta verificandosi.
“Consacrali nella verità”. Gesù aggiunge: “La tua parola è verità”. I discepoli vengono
quindi tirati nell’intimo di Dio mediante l’essere immersi nella parola di Dio. La
parola di Dio è, per così dire, il lavacro che li purifica, il potere creatore che
li trasforma nell’essere di Dio. E allora, come stanno le cose nella nostra vita?
Siamo veramente pervasi dalla parola di Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui
viviamo, più di quanto non lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo
davvero? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa parola al punto che essa
realmente dà un’impronta alla nostra vita e forma il nostro pensiero? O non è piuttosto
che il nostro pensiero sempre di nuovo si modella con tutto ciò che si dice e che
si fa? Non sono forse assai spesso le opinioni predominanti i criteri secondo cui
ci misuriamo? Non rimaniamo forse, in fin dei conti, nella superficialità di tutto
ciò che, di solito, s’impone all’uomo di oggi? Ci lasciamo veramente purificare nel
nostro intimo dalla parola di Dio? Friedrich Nietzsche ha dileggiato l’umiltà e l’obbedienza
come virtù servili, mediante le quali gli uomini sarebbero stati repressi. Ha messo
al loro posto la fierezza e la libertà assoluta dell’uomo. Orbene, esistono caricature
di un’umiltà sbagliata e di una sottomissione sbagliata, che non vogliamo imitare.
Ma esiste anche la superbia distruttiva e la presunzione, che disgrègano ogni comunità
e finiscono nella violenza. Sappiamo noi imparare da Cristo la retta umiltà, che corrisponde
alla verità del nostro essere, e quell’obbedienza, che si sottomette alla verità,
alla volontà di Dio? “Consacrali nella verità; la tua parola è verità”: questa parola
dell’inserimento nel sacerdozio illumina la nostra vita e ci chiama a diventare sempre
di nuovo discepoli di quella verità, che si dischiude nella parola di Dio.
Credo
che nell’interpretazione di questa frase possiamo fare ancora un passo ulteriore.
Non ha forse Cristo detto di se stesso: “Io sono la verità” (cfr Gv 14, 6)?
E non è forse Egli stesso la Parola vivente di Dio, alla quale si riferiscono tutte
le altre singole parole? Consacrali nella verità – ciò vuol dire, dunque, nel più
profondo: rendili una cosa sola con me, Cristo. Lègali a me. Tìrali dentro di me.
E di fatto: esiste in ultima analisi solo un unico sacerdote della Nuova Alleanza,
lo stesso Gesù Cristo. E il sacerdozio dei discepoli, pertanto, può essere solo partecipazione
al sacerdozio di Gesù. Il nostro essere sacerdoti non è quindi altro che un nuovo
modo di unificazione con Cristo. Sostanzialmente essa ci è stata donata per sempre
nel Sacramento. Ma questo nuovo sigillo dell’essere può diventare per noi un giudizio
di condanna, se la nostra vita non si sviluppa entrando nella verità del Sacramento.
Le promesse che oggi rinnoviamo dicono a questo proposito che la nostra volontà deve
essere così orientata: “Domino Iesu arctius coniungi et conformari, vobismetipsis
abrenuntiantes”. L’unirsi a Cristo suppone la rinuncia. Comporta che non vogliamo
imporre la nostra strada e la nostra volontà; che non desideriamo diventare questo
o quest’altro, ma ci abbandoniamo a Lui, ovunque e in qualunque modo Egli voglia servirsi
di noi. “Vivo, tuttavia non vivo più io, ma Cristo vive in me”, ha detto san Paolo
a questo proposito (cfr Gal 2, 20). Nel “sì” dell’Ordinazione sacerdotale abbiamo
fatto questa rinuncia fondamentale al voler essere autonomi, alla “autorealizzazione”.
Ma bisogna giorno per giorno adempiere questo grande “sì” nei molti piccoli “sì” e
nelle piccole rinunce. Questo “sì” dei piccoli passi, che insieme costituiscono il
grande “sì”, potrà realizzarsi senza amarezza e senza autocommiserazione soltanto
se Cristo è veramente il centro della nostra vita. Se entriamo in una vera familiarità
con Lui. Allora, infatti, sperimentiamo in mezzo alle rinunce, che in un primo tempo
possono causare dolore, la gioia crescente dell’amicizia con Lui, tutti i piccoli
e a volte anche grandi segni del suo amore, che ci dona continuamente. “Chi perde
se stesso, si trova”. Se osiamo perdere noi stessi per il Signore, sperimentiamo quanto
sia vera la sua parola.
Essere immersi nella Verità, in Cristo – di
questo processo fa parte la preghiera, in cui ci esercitiamo nell’amicizia con Lui
e impariamo a conoscerLo: il suo modo di essere, di pensare, di agire. Pregare è un
camminare in comunione personale con Cristo, esponendo davanti a Lui la nostra vita
quotidiana, le nostre riuscite e i nostri fallimenti, le nostre fatiche e le nostre
gioie – è un semplice presentare noi stessi davanti a Lui. Ma affinché questo non
diventi uno autocontemplarsi, è importante che impariamo continuamente a pregare pregando
con la Chiesa. Celebrare l’Eucaristia vuol dire pregare. Celebriamo l’Eucaristia in
modo giusto, se col nostro pensiero e col nostro essere entriamo nelle parole, che
la Chiesa ci propone. In esse è presente la preghiera di tutte le generazioni, le
quali ci prendono con sé sulla via verso il Signore. E come sacerdoti siamo nella
Celebrazione eucaristica coloro che, con la loro preghiera, fanno strada alla preghiera
dei fedeli di oggi. Se noi siamo interiormente uniti alle parole della preghiera,
se da esse ci lasciamo guidare e trasformare, allora anche i fedeli trovano l’accesso
a quelle parole. Allora tutti diventiamo veramente “un corpo solo e un’anima sola”
con Cristo.
Essere immersi nella verità e così nella santità di Dio
– ciò significa per noi anche accettare il carattere esigente della verità; contrapporsi
nelle cose grandi come in quelle piccole alla menzogna, che in modo così svariato
è presente nel mondo; accettare la fatica della verità, perché la sua gioia più profonda
è presente in noi. Quando parliamo dell’essere consacrati nella verità, non dobbiamo
neppure dimenticare che in Gesù Cristo verità e amore sono una cosa sola. Essere immersi
in Lui significa essere immersi nella sua bontà, nell’amore vero. L’amore vero non
è a buon mercato, può essere anche molto esigente. Oppone resistenza al male, per
portare all’uomo il vero bene. Se diventiamo una cosa sola con Cristo, impariamo a
riconoscerLo proprio nei sofferenti, nei poveri, nei piccoli di questo mondo; allora
diventiamo persone che servono, che riconoscono i fratelli e le sorelle di Lui e in
essi incontrano Lui stesso.
“Consacrali nella verità” – è questa la
prima parte di quella parola di Gesù. Ma poi Egli aggiunge: “Io consacro me stesso,
perché siano anch’essi consacrati in verità” – cioè veramente (Gv 17, 19).
Io penso che questa seconda parte abbia un suo specifico significato. Esistono nelle
religioni del mondo molteplici modi rituali di “santificazione”, di consacrazione
di una persona umana. Ma tutti questi riti possono rimanere semplicemente una cosa
formale. Cristo chiede per i discepoli la vera santificazione, che trasforma il loro
essere, loro stessi; che non rimanga una forma rituale, ma sia un vero divenire proprietà
del Dio santo. Potremmo anche dire: Cristo ha chiesto per noi il Sacramento che ci
tocca nelle profondità del nostro essere. Ma ha anche pregato, affinché questa trasformazione
giorno per giorno in noi si traduca in vita; affinché nel nostro quotidiano e nella
nostra vita concreta di ogni giorno siamo veramente pervasi dalla luce di Dio.
Alla
vigilia della mia Ordinazione sacerdotale, 58 anni fa, ho aperto la Sacra Scrittura,
perché volevo ricevere ancora una parola del Signore per quel giorno e per il mio
futuro cammino da sacerdote. Il mio sguardo cadde su questo brano: “Consacrali nella
verità; la tua parola è verità”. Allora seppi: il Signore sta parlando di me, e sta
parlando a me. Precisamente la stessa cosa avverrà domani in me. In ultima analisi
non veniamo consacrati mediante riti, anche se c’è bisogno di riti. Il lavacro, in
cui il Signore ci immerge, è Lui stesso – la Verità in persona. Ordinazione sacerdotale
significa: essere immersi in Lui, nella Verità. Appartengo in un modo nuovo a Lui
e così agli altri, “affinché venga il suo Regno”. Cari amici, in questa ora del rinnovo
delle promesse vogliamo pregare il Signore di farci diventare uomini di verità, uomini
di amore, uomini di Dio. Preghiamolo di attirarci sempre più dentro di sé, affinché
diventiamo veramente sacerdoti della Nuova Alleanza. Amen.