Tra gli effetti “collaterali” della crisi economica potrebbe esserci anche un aumento
degli aborti. Almeno negli Stati Uniti, dove a partire dalla seconda metà del 2008
le cliniche abortiste hanno registrato un significativo aumento di richieste di interruzione
volontaria della gravidanza, in netta controtendenza rispetto agli anni passati. La
coincidenza temporale con l’inizio della crisi farebbe pensare che il fenomeno non
sia casuale. Commentando i dati, la portavoce del Segretariato per le attività pro-vita
dei vescovi americani Deirdre McQuade, rileva come questo renda oggi più che mai
necessario informare le madri in attesa che non è necessario ricorrere all’aborto
per risolvere le loro difficoltà, perché esistono strutture in grado di aiutarle durante
la gravidanza e dopo il parto: “Per ogni clinica che pratica aborti in questo paese
– ha detto all’agenzia Cns – esistono tre centri di gravidanza che offrono alle madri
assistenza prenatale e psicologia e i mezzi per prendersi cura dei loro figli. È
importante – ha quindi sottolineato - fare arrivare all’opinione pubblica il messaggio
che i movimenti pro-vita non si preoccupa solo di convincere le donne a non abortire
per poi abbandonarle. Il nostro compito è di aiutare le donne nel momento del bisogno
e offrirle soluzioni alternative all’aborto, come ad esempio l’adozione. L’aborto
non risolve i nostri problemi, ne crea altri”. E proprio l’idea di sostenere le madri
in difficoltà per ridurre gli aborti potrebbe diventare un terreno di dialogo tra
pro-life e pro-scelta negli Stati Uniti. In questo senso si muove un pacchetto legislativo
presentato lo scorso gennaio da un deputato democratico. Bocciata in prima lettura
dal Congresso, la proposta di legge sta cominciando a guadagnare consensi, ha detto
la McQuade. (L.Z.)