Nelle meditazioni della Via Crucis di mons. Menamparampil i mali del mondo letti con
gli occhi della fede
Un percorso lungo le vie dell’umanità, 14 stazioni dove si incontrano le ingiustizie
e le sofferenze di oggi, gli odi e le guerre che distruggono intere nazioni: sarà
tutto questo la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo presieduta dal Papa e meditata
dall’arcivescovo di Guwahati, in India, mons. Thomas Menamparampil. I testi del presule
indiano, salesiano, alla guida di una diocesi che conta 50 mila cattolici su 6 milioni
di abitanti, arriveranno nei tre punti vendita della Libreria Editrice Vaticana –
in piazza San Pietro, piazza Pio XII e via di Propaganda – il 6 aprile, Lunedì Santo.
Le meditazioni offrono un ampio sguardo sulla realtà di oggi, dove spesso il senso
del sacro e lo slancio verso Dio sono soffocati dall’effimero e da scelte opportunistiche.
Il servizio di Tiziana Campisi:
“Tutto
non è perduto nei momenti di difficoltà. Quando le cattive notizie si susseguono”
e “siamo oppressi dall’ansia”, quando la disgrazia scoraggia, le calamità fanno vittime
e la “fede è messa alla prova”: è questo il cuore del messaggio delle meditazioni
dell’arcivescovo di Guwahati. I testi della Via Crucis di mons. Thomas Menamparampil
fanno riflettere sul mistero della sofferenza cristiana, sulla violenza che dilania
gruppi etnici e religiosi e imperversa in alcune nazioni, sui conflitti tra interessi
economici e politici. Mali che scaturiscono dall’avarizia, dall’orgoglio e dalla concupiscenza,
dal nostro rincorrere “soddisfazioni effimere e idee indimostrate”.
C’è
da farsi un esame di coscienza di fronte ad odio e guerre, scrive il presule, “quando
la giustizia viene amministrata in modo distorto nei tribunali, quando la corruzione
è radicata, le strutture ingiuste schiacciano i poveri, le minoranze sono soppresse,
i rifugiati e i migranti maltrattati”. Non c’è da puntare il dito verso gli altri
“quando la persona umana è disonorata sullo schermo, … le donne sono costrette ad
umiliarsi” e “i bambini dei quartieri poveri vanno in giro per le strade a raccogliere
i rifiuti”, c’è invece da domandarsi quanta parte possiamo avere avuto in queste forme
di disumanità. Nella realtà di oggi, osserva mons. Menamparampil, ci si “preoccupa
di ciò che procura … soddisfazione immediata. Ci si accontenta di risposte superficiali.
Si prendono decisioni non sulla base di principi di integrità, ma di considerazioni
opportunistiche”, non si scelgono “opzioni moralmente responsabili” e “si danneggiano
gli interessi vitali della persona umana e della famiglia”. Il cristiano, invece,
deve avere una condotta giusta, integra e onesta, deve avere il “coraggio di assumere
decisioni responsabili” quando rende “un servizio pubblico”, deve combattere per la
giustizia sfidando “il nemico con la giustezza della propria causa” e suscitando “la
buona volontà dell’oppositore”, perché “desista dall’ingiustizia con la persuasione
e la conversione del cuore”. Gli esempi ce li hanno offerti Gandhi e tanti “piccoli
di Dio”.
Sono arricchite da citazioni di Dante,
Shakespeare, Tagore, Newman, le 14 stazioni del vescovo indiano; hanno parole semplici,
che colpiscono per la loro chiarezza, soprattutto quando propongono similitudini fra
il Calvario di Gesù e il mondo contemporaneo. Così, le umiliazioni subite da Cristo
oggi possono essere intraviste nella banalizzazione del sacro, nel riporre il sentimento
religioso “tra i resti sgraditi dell’umanità”. Eppure, medita mons. Menamparampil,
i Simone di Cirene ci sono ancora. In quei “milioni di cristiani di umili origini
con un profondo attaccamento a Cristo”, in uomini e donne “d’Africa, d’Asia” e di
lontane isole, terre dove fioriscono vocazioni, dove “piccole comunità e tribù” sono
profondamente radicate nei valori etici e si aprono al Vangelo e dove si scopre “la
grandezza di ciò che sembra piccolo”, come ci ha mostrato Madre Teresa di Calcutta.
E non dimentica, l’arcivescovo di Guwahati, di denunciare
le iniquità che colpiscono l’universo femminile quando ricorda l’incontro di Gesù
con le donne di Gerusalemme. E il pianto per i propri figli oggi è ciò che aspetta
le nuove generazioni in un ambiente degradato, dove si sprecano risorse e vi è noncuranza
per il futuro, si abbandonano i valori familiari, le tradizioni religiose e non si
rispettano norme etiche.
Attraverso la figura di
Maria, poi, il vescovo indiano cerca di far capire che il perdono va vissuto nella
fede e nella speranza. La madre di Gesù non ha mostrato segni di risentimento sotto
la croce, non ha avuto parole di amarezza; così, dinanzi alle “offese storiche che
per secoli feriscono le memorie delle società”, il perdono deve farci trasformare
l’“ira collettiva in nuove energie d’amore”.
Quello
del vescovo indiano è un continuo richiamo alla morte che conduce a vita. Morendo
Cristo ci ha portato redenzione, sicché tragedie come uno tsunami ci dicono che “la
vita va presa seriamente”, e città come Hiroshima e Nagasaki sono da guardare come
luoghi di pellegrinaggio. Poiché “quando la morte colpisce da vicino, un altro mondo
ci si fa accanto. Allora ci liberiamo dalle illusioni ed abbiamo la percezione di
una realtà più profonda". Realtà che per i cristiani è Gesù, potenza e sapienza di
Dio.