Il G20 a Londra: si cerca un'intesa sul documento finale
In una Londra blindata ha preso il via il G20, preceduto ieri da una serie di incontri
bilaterali ma anche di scontri tra la polizia e i manifestanti – quasi 90 gli arresti
- e conclusosi con la morte di un uomo, trovato senza vita in un vicolo e probabilmente
deceduto per cause naturali. Intanto i lavori del summit sono entrati nel vivo ma
restano divisioni sulle misure da prendere per far rientrare la crisi economica globale.
Il servizio di Benedetta Capelli:
Agire
al più presto per ripulire il sistema bancario, porre fine ai paradisi fiscali, sostenere
la cooperazione economica ed aiutare i Paesi in via di sviluppo. Sul raggiungimento
di questi obiettivi si giocherà il successo del G20. Si profilano due blocchi già
definiti: da una parte gli Stati Uniti e la Gran Bretagna che vorrebbero interventi
immediati ed efficaci per far ripartire l’economia; dall’altra la Francia e la Germania
che invece chiedono regole stringenti per ridisegnare il sistema finanziario internazionale.
Divisioni si registrano sul nodo dei paradisi fiscali, forti le resistenze sulla messa
a punto di una “black list'', la cui identificazione potrebbe slittare forse al G8
di luglio alla Maddalena. La Cina difende lo status privilegiato di Macao ed Hong
Kong mentre Austria, Liechtenstein, Lussemburgo e Belgio sarebbero disposte
a fare alcune concessioni sul segreto bancario finora tenacemente difeso. Oltre
al tema dei paradisi fiscali, la discussione è aperta anche sul rafforzamento delle
risorse da destinare al Fondo Monetario Internazionale (Fmi), arrivando a 750 miliardi
di dollari, e sulle misure per stimolare la crescita economica nonché sulla proposta
di fissare un tetto planetario ai compensi dei manager delle banche. Tutti i punti
sui quali circola un certo ottimismo per il raggiungimento di un’intesa. Infine il
premier italiano Berlusconi sarebbe riuscito a far inserire nella bozza finale del
documento un esplicito riferimento ad un “social pact”, cioè un richiamo alla “dimensione
umana della crisi”, insistendo sulla necessità di proteggere e sostenere coloro che
perdono il lavoro.
Al G20 di Londra le grandi potenze si confrontano
per uscire dall’emergenza economica, ma senza mostrare una particolare unità nelle
strategie da adottare. C’è il rischio che da questa situazione si creino fratture
ancora più profonde tra mondo industrializzato e Paesi in via di sviluppo? Giancarlo
La Vella lo ha chiesto a Sergio Marelli, direttore generale della Focsiv,
la Federazione degli organismi cattolici impegnati nel volontariato:
R.
– Questo rischio sicuramente è presente e sarebbe, almeno credo, una delle conseguenze
più negative che potrebbero emergere da questo G20. Il G20 rappresenta oggi il 90%
della ricchezza prodotta a livello mondiale, ma anche l’80% dell’emissione dei gas
inquinanti e addirittura il 66% della popolazione mondiale. Se non si dovesse trovare
un accordo che tenga conto degli oltre 160 Paesi che non stanno dentro questo club
e dunque una soluzione concordata, unanime e, soprattutto, efficace nell’urgenza di
mettere in atto delle azioni per uscire da questa crisi, sarebbe davvero un problema
ulteriore che penso non potrebbe che peggiorare le situazioni che dovrà affrontare
il mondo intero nei prossimi mesi.
D. – Le grandi potenze si stanno
giocando in queste ore la leadership nel gestire l’emergenza economica. Secondo lei,
sarebbe più opportuna invece una posizione comune?
R.
– Sicuramente. Penso che una delle cause per cui siamo oggi in questa crisi, a livello
planetario, che non è solo una crisi finanziaria ed economica ma anche ambientale,
di approvvigionamento in energia, una crisi dei prezzi e alimentare, è l'aver pensato
di poter affrontare questi problemi in maniera separata. Se si dovesse continuare
con questo approccio allora ci sarebbe un aggravamento delle situazioni. E allora
è per questo che una dichiarazione finale - come sembra essere ormai definita e nella
quale gli accenni e le menzioni ai Paesi poveri e ai loro destini sono così scarse
- lascia ancora una volta intuire che forse si pensa di poter risolvere una crisi
globale con delle soluzioni parziali. I poveri non sono parte del problema, ma i poveri
sono una risorsa fondamentale proprio per risolverlo e per uscire da questa crisi.