2009-04-01 15:06:16

La ricostruzione dell'Afghanistan: intervista con Stefano Polli e Simona Lanzoni


Ondata di violenza in Afghanistan. Diverse esplosioni si sono registrate ieri nei pressi del consiglio provinciale a Kandahar, roccaforte dei talebani nel sud del Paese. Almeno 10 le vittime e 16 i feriti. Un’escalation che segue la Conferenza Onu sull’Afghanistan all’Aja, che ha riunito oltre 80 tra Stati e organizzazioni internazionali per dare un segno tangibile del rilancio degli sforzi militari, civili e diplomatici per la rinascita del Paese. Il summit ha visto pure gettare le basi per un possibile riavvicinamento tra Washington e Teheran del quale ha parlato il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, presente alla Conferenza. Dall’Aja, Giovanni Del Re:RealAudioMP3

L’Iran è pienamente disposto a collaborare con la comunità internazionale sulla ricostruzione e la lotta al traffico di droga. E’ stata davvero importante l’apertura di Teheran, oltretutto pronunciata dal viceministro degli Esteri, Mohammed Mehdi Akhundzadeh. Unica piccola stoccata da parte iraniana è stata la critica al rafforzamento delle truppe Usa in Afghanistan. Parole che non hanno fatto alcuna impressione, tanto che dal lato americano ci sono state risposte molto concilianti. Il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha definito incoraggiante la posizione iraniana. “Non basta - ha anche rilevato in un incontro a quattr'occhi, sempre all’Aja, tra l’inviato del presidente Barack Obama per l’Afghanistan e il Pakistan, Richard Holbrooke, e lo stesso viceministro di Teheran - un incontro ufficialmente non programmato”, ha specificato Clinton. “E’ bastato però perché Washington e Teheran concordassero - ha detto ancora il segretario di Stato - di restare in contatto”. Infine, la Clinton è tornata a ribadire il sostegno Usa per la riconciliazione afghana, soprattutto con quelli - ha detto - che si sono uniti ai talebani, solo per disperazione.

 
Alla Conferenza internazionale Onu sull’Afghanistan, che si è svolta ieri all’Aja, in Olanda, Stati Uniti ed Iran hanno dichiarato di voler cooperare nella ricostruzione del Paese. Il piano Obama propone l’apertura di un dialogo con i talebani moderati e il coinvolgimento dei Paesi vicini per sostenere progetti di sviluppo e combattere terrorismo e traffico di droga. Ma quali sono le speranze della comunità internazionale emerse alla Conferenza Onu? Tiziana Campisi lo ha chiesto a Stefano Polli, responsabile dell’area internazionale dell’Ansa:RealAudioMP3

R. - La politica portata avanti finora in Afghanistan non ha dato frutti, mentre quella irachena degli ultimi mesi, col tentativo di coinvolgere le parti più moderate, ha dato qualche successo. Quindi, l’idea di Obama e della comunità internazionale è quella di provare a riprodurre in Afghanistan quello che è stato fatto negli ultimi mesi in Iraq. D’altra parte, la situazione in Afghanistan è fuori controllo ed è necessario coinvolgere sempre di più le parti più moderate che ci sono, perché non è vero che tutti quelli che fanno parte dell’insorgenza afghana, come viene definita, siano di Al-Qaeda o siano talebani. C’è anche gente che non ha scelta: combattenti che sono disperati e che probabilmente accetterebbero volentieri il dialogo così come l’hanno accettato alcune componenti sunnite in Iraq.

D. - Quali possibilità di successo ha il piano Obama?

 
R. - E’ difficile dire quanto tempo ci vorrà e se potrà andare a buon fine. Però, si può dire sicuramente che è necessario cambiare qualcosa in Afghanistan, non si può soltanto avere un approccio militare. E’ necessario avere anche un forte approccio politico, avere un dialogo con le componenti più moderate, impegnarsi di più nella ricostruzione civile, economica, motivare di più le autorità afghane e, soprattutto, avere un approccio regionale - cosa che non è stata fatta fino ad oggi con il coinvolgimento dei Paesi vicini. Guardare sicuramente al Pakistan che è una pedina fondamentale negli equilibri regionali e anche all’Iran, altra potenza regionale, e sottolineare gli obiettivi comuni alla comunità internazionale come la lotta al traffico della droga, al terrorismo, cercare di arrivare a un’area pacificata.

D. - Che risposte potrebbero arrivare adesso, da Tokyo, alla prossima Conferenza dei Paesi donatori, sulla base di quanto è stato detto in Olanda?

 
R. - E’ necessario che arrivi una risposta convincente perché finora si è pensato all’aspetto militare, a cambiare l’approccio strategico passando a un approccio che abbia più politica più dialogo più ricostruzione. E adesso servono anche le risorse, che sono arrivate soltanto in parte. E’ importante che i passi avanti concreti compiuti all’Aja siano seguiti da un percorso parallelo dal punto di vista degli investimenti.

 
A dominare la Conferenza sull’Afghanistan, ieri all’Aja, oltre ovviamente alla ricostruzione nel Paese asiatico, sono stati pure i dibattiti sulla condizione della donna, proprio quando a Kabul è pronto un provvedimento per gli sciiti che - secondo l'interpretazione di fonti delle Nazioni Unite e ong indipendenti - legalizzerebbe lo stupro all’interno del matrimonio. I diritti delle donne in Afghanistan sono un motivo di “assoluta preoccupazione”, ha detto all’Aja il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. Per un commento sul nuovo codice afghano - al momento non ancora pubblicato - Giada Aquilino ha intervistato Simona Lanzoni, direttrice progetti di Fondazione Pangea Onlus, che da anni opera accanto alle donne in Afghanistan:RealAudioMP3

R. - La fondazione Pangea pensa che questo provvedimento sia assolutamente assurdo. E’, tra l’altro, un provvedimento anticostituzionale perché all’interno della Costituzione c’è una legge specifica che garantisce pari diritti a uomini e donne. Dunaue, si creerebbe un precedente. La Costituzione dà per diritto alla minoranza sciita la possibilità di legiferare sul diritto alla famiglia su base sciita, ma questa eventualità fa sì che i diritti umani non siano rispettati per tutte le donne dell’Afghanistan. Noi di Fondazione Pangea lavoriamo anche insegnando i diritti umani alle donne, proprio perché loro diventino coscienti di quali siano le loro opportunità davanti alla legge.

D. - In base all’esperienza che avete maturato sul campo, secondo voi come si è potuti arrivare a questo provvedimento?

R. - Il problema è che il provvedimento si basa in realtà su tradizioni locali e abitudini e consuetudini assolutamente comuni alla popolazione afghana: il legalizzarlo, però, diventa un ostacolo al processo di evoluzione del diritto in questo Paese. Le donne, adesso, molto difficilmente riescono a far valere i propri diritti.

D. - Il testo vieterebbe alle donne anche di uscire di casa senza il permesso del coniuge. E’ un passo indietro nella strada verso la democratizzazione?

R. - Decisamente sì. Non solo riconosce questo ma, addirittura, riconosce e tollera il matrimonio tra bambini, o comunque tra una bambina e un adulto. E’ una legge veramente pesante.

 
D. - Le donne afghane hanno coscienza di ciò che sta avvenendo?

 
R. - Sì, soprattutto le attiviste che stanno lottando dal 2001 per far valere i diritti delle donne. Non ci dimentichiamo che, comunque, attraverso la radio le informazioni circolano anche tra le donne semplici, quelle che non hanno un’educazione particolare, e si rendono conto perfettamente che questa è una grandissima e gravissima lesione ai propri diritti. L’appello di Fondazione Pangea è di non lasciare assolutamente queste donne a loro stesse e di continuare a sostenere tutte le organizzazioni come Fondazione Pangea che lavorano per i diritti delle donne e per l’espansione e la concreta applicazione dei diritti sul territorio.







All the contents on this site are copyrighted ©.