La ricostruzione dell'Afghanistan: intervista con Stefano Polli e Simona Lanzoni
Ondata di violenza in Afghanistan. Diverse esplosioni si sono registrate ieri nei
pressi del consiglio provinciale a Kandahar, roccaforte dei talebani nel sud del Paese.
Almeno 10 le vittime e 16 i feriti. Un’escalation che segue la Conferenza Onu
sull’Afghanistan all’Aja, che ha riunito oltre 80 tra Stati e organizzazioni internazionali
per dare un segno tangibile del rilancio degli sforzi militari, civili e diplomatici
per la rinascita del Paese. Il summit ha visto pure gettare le basi per un possibile
riavvicinamento tra Washington e Teheran del quale ha parlato il segretario di Stato
Usa, Hillary Clinton, presente alla Conferenza. Dall’Aja, Giovanni Del Re:
L’Iran è
pienamente disposto a collaborare con la comunità internazionale sulla ricostruzione
e la lotta al traffico di droga. E’ stata davvero importante l’apertura di Teheran,
oltretutto pronunciata dal viceministro degli Esteri, Mohammed Mehdi Akhundzadeh.
Unica piccola stoccata da parte iraniana è stata la critica al rafforzamento delle
truppe Usa in Afghanistan. Parole che non hanno fatto alcuna impressione, tanto che
dal lato americano ci sono state risposte molto concilianti. Il segretario di Stato
Usa, Hillary Clinton, ha definito incoraggiante la posizione iraniana. “Non basta
- ha anche rilevato in un incontro a quattr'occhi, sempre all’Aja, tra l’inviato del
presidente Barack Obama per l’Afghanistan e il Pakistan, Richard Holbrooke,
e lo stesso viceministro di Teheran - un incontro ufficialmente non programmato”,
ha specificato Clinton. “E’ bastato però perché Washington e Teheran concordassero
- ha detto ancora il segretario di Stato - di restare in contatto”. Infine, la Clinton
è tornata a ribadire il sostegno Usa per la riconciliazione afghana, soprattutto con
quelli - ha detto - che si sono uniti ai talebani, solo per disperazione.
Alla
Conferenza internazionale Onu sull’Afghanistan, che si è svolta ieri all’Aja, in Olanda,
Stati Uniti ed Iran hanno dichiarato di voler cooperare nella ricostruzione del Paese.
Il piano Obama propone l’apertura di un dialogo con i talebani moderati e il coinvolgimento
dei Paesi vicini per sostenere progetti di sviluppo e combattere terrorismo e traffico
di droga. Ma quali sono le speranze della comunità internazionale emerse alla Conferenza
Onu? Tiziana Campisi lo ha chiesto a Stefano Polli, responsabile dell’area
internazionale dell’Ansa:
R. - La politica
portata avanti finora in Afghanistan non ha dato frutti, mentre quella irachena degli
ultimi mesi, col tentativo di coinvolgere le parti più moderate, ha dato qualche successo.
Quindi, l’idea di Obama e della comunità internazionale è quella di provare a riprodurre
in Afghanistan quello che è stato fatto negli ultimi mesi in Iraq. D’altra parte,
la situazione in Afghanistan è fuori controllo ed è necessario coinvolgere sempre
di più le parti più moderate che ci sono, perché non è vero che tutti quelli che fanno
parte dell’insorgenza afghana, come viene definita, siano di Al-Qaeda o siano talebani.
C’è anche gente che non ha scelta: combattenti che sono disperati e che probabilmente
accetterebbero volentieri il dialogo così come l’hanno accettato alcune componenti
sunnite in Iraq.
D. - Quali possibilità di successo ha il piano Obama?
R.
- E’ difficile dire quanto tempo ci vorrà e se potrà andare a buon fine. Però, si
può dire sicuramente che è necessario cambiare qualcosa in Afghanistan, non si può
soltanto avere un approccio militare. E’ necessario avere anche un forte approccio
politico, avere un dialogo con le componenti più moderate, impegnarsi di più nella
ricostruzione civile, economica, motivare di più le autorità afghane e, soprattutto,
avere un approccio regionale - cosa che non è stata fatta fino ad oggi con il coinvolgimento
dei Paesi vicini. Guardare sicuramente al Pakistan che è una pedina fondamentale negli
equilibri regionali e anche all’Iran, altra potenza regionale, e sottolineare gli
obiettivi comuni alla comunità internazionale come la lotta al traffico della droga,
al terrorismo, cercare di arrivare a un’area pacificata.
D. - Che risposte
potrebbero arrivare adesso, da Tokyo, alla prossima Conferenza dei Paesi donatori,
sulla base di quanto è stato detto in Olanda?
R.
- E’ necessario che arrivi una risposta convincente perché finora si è pensato all’aspetto
militare, a cambiare l’approccio strategico passando a un approccio che abbia più
politica più dialogo più ricostruzione. E adesso servono anche le risorse, che sono
arrivate soltanto in parte. E’ importante che i passi avanti concreti compiuti all’Aja
siano seguiti da un percorso parallelo dal punto di vista degli investimenti.
A
dominare la Conferenza sull’Afghanistan, ieri all’Aja, oltre ovviamente alla ricostruzione
nel Paese asiatico, sono stati pure i dibattiti sulla condizione della donna, proprio
quando a Kabul è pronto un provvedimento per gli sciiti che - secondo l'interpretazione
di fonti delle Nazioni Unite e ong indipendenti - legalizzerebbe lo stupro all’interno
del matrimonio. I diritti delle donne in Afghanistan sono un motivo di “assoluta preoccupazione”,
ha detto all’Aja il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. Per un commento sul
nuovo codice afghano - al momento non ancora pubblicato - Giada Aquilino ha
intervistato Simona Lanzoni, direttrice progetti di Fondazione Pangea Onlus,
che da anni opera accanto alle donne in Afghanistan:
R. - La fondazione
Pangea pensa che questo provvedimento sia assolutamente assurdo. E’, tra l’altro,
un provvedimento anticostituzionale perché all’interno della Costituzione c’è una
legge specifica che garantisce pari diritti a uomini e donne. Dunaue, si creerebbe
un precedente. La Costituzione dà per diritto alla minoranza sciita la possibilità
di legiferare sul diritto alla famiglia su base sciita, ma questa eventualità fa sì
che i diritti umani non siano rispettati per tutte le donne dell’Afghanistan. Noi
di Fondazione Pangea lavoriamo anche insegnando i diritti umani alle donne, proprio
perché loro diventino coscienti di quali siano le loro opportunità davanti alla legge.
D. - In base all’esperienza che avete maturato sul campo, secondo voi
come si è potuti arrivare a questo provvedimento?
R. - Il problema è
che il provvedimento si basa in realtà su tradizioni locali e abitudini e consuetudini
assolutamente comuni alla popolazione afghana: il legalizzarlo, però, diventa un ostacolo
al processo di evoluzione del diritto in questo Paese. Le donne, adesso, molto difficilmente
riescono a far valere i propri diritti. D. - Il testo vieterebbe
alle donne anche di uscire di casa senza il permesso del coniuge. E’ un passo indietro
nella strada verso la democratizzazione?
R. - Decisamente sì. Non solo
riconosce questo ma, addirittura, riconosce e tollera il matrimonio tra bambini, o
comunque tra una bambina e un adulto. E’ una legge veramente pesante.
D.
- Le donne afghane hanno coscienza di ciò che sta avvenendo?
R.
- Sì, soprattutto le attiviste che stanno lottando dal 2001 per far valere i diritti
delle donne. Non ci dimentichiamo che, comunque, attraverso la radio le informazioni
circolano anche tra le donne semplici, quelle che non hanno un’educazione particolare,
e si rendono conto perfettamente che questa è una grandissima e gravissima lesione
ai propri diritti. L’appello di Fondazione Pangea è di non lasciare assolutamente
queste donne a loro stesse e di continuare a sostenere tutte le organizzazioni come
Fondazione Pangea che lavorano per i diritti delle donne e per l’espansione e la concreta
applicazione dei diritti sul territorio.