Il primo aprile di 75 anni fa, Pio XI proclamava Santo Giovanni Bosco. Intervista
con suor Enrica Rosanna
Era il giorno di Pasqua il primo aprile 1934 quando Pio XI proclamava Santo don Giovanni
Bosco. Per i Salesiani in Italia e nel mondo, e per migliaia e migliaia di persone,
quella cerimonia rappresentava il coronamento di quanto costruito nei suoi 73 anni
di vita dal sacerdote piemontese, dai suoi religiosi e dalle sue suore, nel campo
della pedagogia e della formazione cristiana dei bambini e dei giovani. Gudrun
Sailer, della redazione tedesca della nostra emittente, ha ricordato il 75.mo
della canonizzazione di don Bosco con suor Enrica Rosanna, sottosegretario
alla Congregazione per gli istituti di vita consacrata:
R. - I giovani
di don Bosco erano i giovani di Torino, della prima industrializzazione, che emigravano
dalla campagna verso la città in cerca di lavoro e di pane, e lì vivevano abbandonati,
sfruttati dai datori di lavoro e dimenticati dalle autorità civili. Don Bosco fu per
loro padre, maestro, amico. E fondò il cosiddetto "oratorio", una casa in cui i giovani
imparavano a pregare, imparavano a lavorare, imparavano a giocare, imparavano a volersi
bene. Imparavano - in poche parole - a farsi santi in modo semplice e adatto alla
loro età. Pensiamo a San Domenico Savio e alla sua famosa frase: “Noi facciamo consistere
la santità nello stare molto allegri”.
D. - Don Bosco
aveva anche un gran talento comunicativo che usava per relazionarsi al meglio con
le persone del suo tempo…
R. - Don Bosco comunicava
con i giovani, amava i giovani, ma anche si faceva amare dai giovani. Ecco, come è
importante ancora oggi la sua frase “amare i giovani, ma anche far sì che i giovani
si sentano amati”. Don Bosco comunicava con i giovani, con il clero, con il Papa,
con i politici, con la gente del popolo, con i benefattori, tutti con una sola finalità:
quella del bene dei suoi ragazzi, che voleva che diventassero buoni cristiani e onesti
cittadini. Io credo che, purtroppo, nell’era della comunicazione noi dobbiamo stare
attenti a far sì che anche in ambito educativo la comunicazione non sia solo virtuale.
La comunicazione virtuale ci vuole, ma non deve spegnere la comunicazione vis-à-vis,
la familiarità e il dialogo interpersonale. Un buon educatore, che non sappia dialogare,
non può essere chiamato educatore.
D. - Come si presenta
la situazione della Famiglia salesiana oggi, a 75 anni dalla canonizzazione di don
Bosco?
R. - La Famiglia salesiana è un grande albero
con radici solide. Queste radici, però, vanno riscoperte, rafforzate, inculturate
continuamente, perché è solo da queste radici che scaturisce la linfa che da vita
ai rami. La famiglia di don Bosco, questo albero, è piantato in tutti i continenti,
in metropoli, in Paesi, in luoghi di frontiera, in territori missionari, in Paesi
non ancora evangelizzati: soprattutto là, dove ci sono i giovani e dove i giovani
patiscono la violenza, il dissesto della famiglia, la povertà in tutti i sensi, l’abbandono
ma anche nei Paesi di antica evangelizzazione dove la crisi educativa è sempre più
emergente. (Montaggio a cura di Maria Brigini)