Intervista con mons. Fisichella sul suo ultimo libro“Identità dissolta”: recuperare
la lingua madre dell'Europa, il cristianesimo
“Per quanto possa apparire paradossale, oggi gli Stati hanno urgente bisogno di confrontarsi
con la questione della verità”: è un passaggio dell’ultimo libro dell’arcivescovo
Rino Fisichella, intitolato “Identità dissolta”, da oggi in libreria (Mondadori, pag.
144, Euro 17). Nel volume, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita e
rettore della Lateranense, riflette sul valore fondamentale del Cristianesimo per
l’identità dell’Europa alle prese con le sfide della laicità, del pluralismo e del
multiculturalismo. Ma quali sono le manifestazioni più preoccupanti di questa dissoluzione
dell’identità europea? Intervistato da Alessandro Gisotti, risponde mons.
Rino Fisichella:
R. – Di fatto,
sono quelle di una continua scristianizzazione delle nostre società. Sono quelle di
voler dimenticare le radici, di non avere più una cultura che si richiami a quelli
che sono i valori fondamentali su cui la società in Europa si è costruita. Sono l’emarginazione,
sempre più spesso la derisione del messaggio che i cristiani portano. D.
– In che modo è possibile riappropriarsi di questa identità cristiana, di quella che
lei definisce lingua madre dell’Europa? E, certo, senza una lingua comune non ci si
comprende... R. – Io ho mediato questa espressione da un grande
poeta tedesco che è Goethe, che diceva: “L’Europa è nata in pellegrinaggio e la sua
lingua madre è il cristianesimo”. Se noi andiamo ad analizzare la storia, vediamo
realmente che quest’Europa è nata, perché ci sono stati dei luoghi sacri. Pensiamo
al pellegrinaggio nella Città di Pietro e Paolo. Pensiamo al pellegrinaggio, già nel
Medio Evo, a Santiago di Compostela. Pensiamo alla Via Francigena. Pensiamo a tutto
quello che sono stati gli scambi verificatisi con il sorgere delle università, dei
comuni. Tutta la ricchezza che c’è stata, è stata prodotta dal cristianesimo, è stata
sollecitata dal cristianesimo. Io credo che, per prima cosa, dobbiamo recuperare la
consapevolezza di questo. Non dobbiamo dimenticare quella che è stata l’origine dell’Europa,
perché se dimentichiamo questa tradizione non ci sarà futuro. E’ impossibile che ci
sia futuro. D. – Perché, secondo lei, anche i non credenti potrebbero
trarre vantaggio da questo recupero di identità? R. – Io credo
che qui non sia più questione di essere credenti o non credenti. Qui è questione di
avere una curiosità intellettuale e di comprendere realmente che cosa si è verificato
e dove si vuole andare. Se vogliamo costruire realmente un’Europa che sia una patria
comune di identità differenti, di tradizioni culturali differenti che nel corso dei
secoli si sono sviluppate, di lingue anche diverse, dobbiamo però ritrovare necessariamente
il denominatore comune, la matrice comune che ha dato vita a tutto questo. D.
– Tutti ricordano il monito sulla “dittatura del relativismo”, lanciato dall’allora
cardinale Ratzinger, pochi giorni prima dell’elezione alla Cattedra di Pietro. Perché
oggi, secondo lei, è così difficile confrontarsi con la questione fondamentale della
verità? R. - Oggi, anche quanti ci governano, devono sentire
il bisogno di far emergere questa questione. Noi abbiamo una profonda tradizione,
una tradizione che ha suscitato cultura, una tradizione che ha saputo anche conservare
quello che è stato il patrimonio di saggezza e di verità acquisito nel passato. Noi
l’abbiamo recuperato, l’abbiamo portato avanti, lo abbiamo fatto conoscere, lo abbiamo
conservato nei monumenti, nelle biblioteche… Perché, anche oggi, non pensare che in
questa ricerca della verità che portano avanti gli scienziati dal punto di vista medico,
fisico, chimico, non ci debba essere anche una verità più profonda che tocca l’uomo
nella sua globalità e che tocca anche il senso della sua vita? E su questa verità,
che sta anche alla base del vivere comune, civile e sociale, il cristianesimo ha molto
da dire.