2009-03-31 15:39:34

Intervista con mons. Fisichella sul suo ultimo libro“Identità dissolta”: recuperare la lingua madre dell'Europa, il cristianesimo


“Per quanto possa apparire paradossale, oggi gli Stati hanno urgente bisogno di confrontarsi con la questione della verità”: è un passaggio dell’ultimo libro dell’arcivescovo Rino Fisichella, intitolato “Identità dissolta”, da oggi in libreria (Mondadori, pag. 144, Euro 17). Nel volume, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita e rettore della Lateranense, riflette sul valore fondamentale del Cristianesimo per l’identità dell’Europa alle prese con le sfide della laicità, del pluralismo e del multiculturalismo. Ma quali sono le manifestazioni più preoccupanti di questa dissoluzione dell’identità europea? Intervistato da Alessandro Gisotti, risponde mons. Rino Fisichella:RealAudioMP3

R. – Di fatto, sono quelle di una continua scristianizzazione delle nostre società. Sono quelle di voler dimenticare le radici, di non avere più una cultura che si richiami a quelli che sono i valori fondamentali su cui la società in Europa si è costruita. Sono l’emarginazione, sempre più spesso la derisione del messaggio che i cristiani portano.
 
D. – In che modo è possibile riappropriarsi di questa identità cristiana, di quella che lei definisce lingua madre dell’Europa? E, certo, senza una lingua comune non ci si comprende...
 
R. – Io ho mediato questa espressione da un grande poeta tedesco che è Goethe, che diceva: “L’Europa è nata in pellegrinaggio e la sua lingua madre è il cristianesimo”. Se noi andiamo ad analizzare la storia, vediamo realmente che quest’Europa è nata, perché ci sono stati dei luoghi sacri. Pensiamo al pellegrinaggio nella Città di Pietro e Paolo. Pensiamo al pellegrinaggio, già nel Medio Evo, a Santiago di Compostela. Pensiamo alla Via Francigena. Pensiamo a tutto quello che sono stati gli scambi verificatisi con il sorgere delle università, dei comuni. Tutta la ricchezza che c’è stata, è stata prodotta dal cristianesimo, è stata sollecitata dal cristianesimo. Io credo che, per prima cosa, dobbiamo recuperare la consapevolezza di questo. Non dobbiamo dimenticare quella che è stata l’origine dell’Europa, perché se dimentichiamo questa tradizione non ci sarà futuro. E’ impossibile che ci sia futuro.
 
D. – Perché, secondo lei, anche i non credenti potrebbero trarre vantaggio da questo recupero di identità?
 
R. – Io credo che qui non sia più questione di essere credenti o non credenti. Qui è questione di avere una curiosità intellettuale e di comprendere realmente che cosa si è verificato e dove si vuole andare. Se vogliamo costruire realmente un’Europa che sia una patria comune di identità differenti, di tradizioni culturali differenti che nel corso dei secoli si sono sviluppate, di lingue anche diverse, dobbiamo però ritrovare necessariamente il denominatore comune, la matrice comune che ha dato vita a tutto questo.
 
D. – Tutti ricordano il monito sulla “dittatura del relativismo”, lanciato dall’allora cardinale Ratzinger, pochi giorni prima dell’elezione alla Cattedra di Pietro. Perché oggi, secondo lei, è così difficile confrontarsi con la questione fondamentale della verità?
 
R. - Oggi, anche quanti ci governano, devono sentire il bisogno di far emergere questa questione. Noi abbiamo una profonda tradizione, una tradizione che ha suscitato cultura, una tradizione che ha saputo anche conservare quello che è stato il patrimonio di saggezza e di verità acquisito nel passato. Noi l’abbiamo recuperato, l’abbiamo portato avanti, lo abbiamo fatto conoscere, lo abbiamo conservato nei monumenti, nelle biblioteche… Perché, anche oggi, non pensare che in questa ricerca della verità che portano avanti gli scienziati dal punto di vista medico, fisico, chimico, non ci debba essere anche una verità più profonda che tocca l’uomo nella sua globalità e che tocca anche il senso della sua vita? E su questa verità, che sta anche alla base del vivere comune, civile e sociale, il cristianesimo ha molto da dire.







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