Presentato un nuovo libro su “Galileo e il Vaticano”
Ripercorrere la storia del processo a Galileo e i lavori della commissione di studio,
voluta da Giovanni Paolo II, attiva tra il 1981 e il 1992. E’ l'’obiettivo del volume
“Galileo e il Vaticano”, di Mariano Artigas e Melchor Sanchez de Toca, presentato
venerdì scorso presso il Pontificio Consiglio della Cultura alla presenza del cardinale
Paul Poupard, che diresse nella sua fase finale quel comitato di studi. A partire
dalla documentazione degli archivi del dicastero della cultura, viene ricostruita
l’attività della commissione e ne vengono esaminati criticamente i frutti, permettendo –
proprio in coincidenza con l’Anno dell’Astronomia – un’adeguata valutazione del ruolo
del Vaticano nel complesso caso Galileo. Al microfono di Fabio Colagrande,
mons. Sanchez de Toca, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura,
coautore del libro:
R. – Nel
1979, dunque appena un anno dopo il suo insediamento, a sorpresa e in occasione della
ricorrenza della nascita di Einstein, nel suo centenario, il Papa incominciò a parlare
di Galileo. E lì chiede a tutti – storici, teologi, scienziati – di riesaminare il
caso Galileo e di approfondirne lo studio per rimuovere gli ostacoli che questo caso
ancora frappone nella mente di molti ad una fruttuosa concordia tra scienza e religione.
Queste parole ebbero un’eco enorme in ambito culturale, nel mondo scientifico e anche
all’interno della Chiesa. Questa accoglienza così positiva ed in un certo senso inattesa,
spinse il Papa a creare una Commissione. D. – Quale fu il vero
compito di questa Commissione? Il cardinale Poupard ha ricordato che compito di questo
gruppo di lavoro non era rivedere il processo Galileo, sottoporlo a revisione ma attuare
una serena riflessione su questo caso. Cosa significa? R. –
Il processo non ha alcun mistero: il processo a Galileo del 1633, penoso per la conclusione
che fu l’abiura forzata del Galileo, è ben noto, non c’è niente da rivedere nel processo.
Fu fatto secondo le regole. Oggi sicuramente non l’avremmo fatto: in questo senso
c’era poco da rivedere, nel processo. Non ci furono arbitrarietà o irregolarità di
tipo processuale. Possiamo cercare di capire sempre meglio come sono andate le cose.
Negli Archivi del Sant’Uffizio, aperto proprio su richiesta della Commissione nell’anno
1998, sono apparsi alcuni documenti che aggiungono un po’ di luce sulla questione
che sostanzialmente è conosciuta, e lo era da tempo: c’è poco da scoprire. In questo
senso, non c’era spazio per una revisione del processo. Riabilitazione in senso giuridico,
nemmeno. Una riabilitazione morale, invece, era stata già fatta dal Concilio Vaticano
II e dalla Chiesa stessa riconoscendo di aver sbagliato nei confronti di Galileo,
nei confronti della dottrina copernicana. Allora, che cosa chiedeva il Papa? Approfondire
lo studio del caso Galileo. E perché? Per rimuovere le diffidenze che questo caso
ancora tuttora frappone ad una concordia tra scienza e religione. Cioè, praticamente,
cercare di levare l’ostacolo che Galileo, in quanto icona, in quanto mito nell’immaginario
collettivo, frappone ad un dialogo tra scienza e fede. D. –
Il cardinale Poupard ha detto: “Non fu un lavoro apologetico” … R.
– Per “apologetico” si intende … non fu fatto per prendere le difese ad ogni costo
della Chiesa, dagli attacchi che piovono fin dall’Illuminismo sulla Chiesa da parte
di uno scientismo bieco, molto dogmatico, molto rigido. In questo senso, è una tentazione
facile per alcuni cattolici che, sentendosi attaccati quando si vedono rinfacciare
il caso Galileo, tirano fuori altri argomenti e spesso sono a scapito di Galileo,
dicendo che Galileo aveva grandi difetti, il che è vero ma non toglie niente alla
sua genialità. In questo senso, non si trattava di fare apologetica, cioè di cercare
di difendere ad ogni costo l’operato della Chiesa, ma di capire – come disse il cardinale
nel discorso di chiusura – cosa era successo, i fatti – che peraltro erano conosciuti
–, come era successo e perché era successo …