Dramma dell'immigrazione ad Ancona: iraniano muore schiacciato da un camion
Nelle ultime 48 ore oltre 570 persone, provenienti soprattutto da Somalia ed Eritrea,
sono approdate sulle coste italiane della Sicilia. Immigrati irregolari continuano
ad arrivare giornalmente anche nel porto di Ancona, dove ieri un iraniano è morto,
schiacciato dal tir sotto il quale si era nascosto sin dall’imbarco a Patrasso in
Grecia. Massimiliano Menichetti ha intervistato don Dino Cecconi responsabile
della Fondazione Migrantes di Ancona:
R.
– E’ un episodio drammatico. Siamo vicini a questa sofferenza e a questo disagio,
ma quello che è ancora più drammatico è che non è un caso isolato, perché qui ad Ancona
ogni giorno vengono portati nell’ufficio preposto al riconoscimento del diritto d’asilo;
sono circa dieci le persone che vengono pescate in questa situazione, nelle navi che
sbarcano.
D. – A Lampedusa l’immigrazione è fondamentalmente
nord-africana, chi sbarca ad Ancona?
R. – Curdi, pachistani;
più o meno sono queste le etnie più comuni. Spesso vagano, di più o di meno, in altre
terre, però poi, naturalmente, arrivano fino in Grecia, e da lì verso l’Italia.
D.
– Sbarcare nel porto, in questo caso, non è arrivare a bordo di un gommone, ma è nascondersi
sotto i camion…
R. – Certi popoli sono in condizioni
che noi neanche ci immaginiamo; la disperazione di tante persone che cercano delle
vie di fuga. Il fatto che poi emigrano non solo degli uomini e delle donne, ma spesso
famiglie, bambini, questo fa capire anche questo bisogno di sopravvivenza che c’è.
D.
– Che cosa sperano di trovare?
R. – La cosa più impressionante,
a volte, è che loro si accontenterebbero solo di respirare aria pulita, per così dire.
Un po’ di libertà, di poter vivere in pace.
D. – Questo
perché vengono da luoghi dove c’è molta povertà, spesso in guerra…
R.
– Se non sono zone di guerra e di guerriglie, sono zone di violenze, su tanti livelli.
D.
– Come si fa a mettere insieme da una parte la necessità di legalità e dall’altra
parte l’accoglienza?
R. – La persona, prima di tutto,
va accolta, nel senso che va ascoltata. Io penso che, tutto sommato, tutti preferirebbero
tornare in pace nella loro terra e vivere nella loro terra piuttosto che vivere in
una terra straniera.
D. – Quindi, in sostanza, lei dice:
“se si fugge, è perché non c’è la possibilità di rimanere”; qual è, dunque, l’appello?
R.
– Che i nostri politici possano fare veramente delle leggi che siano umane e che diano
davvero una risposta a quest’orizzonte tanto vasto e tanto delicato. C’è bisogno di
sopravvivenza, c’è bisogno di libertà che molte persone non hanno.