Gli Stati Uniti rilanciano la lotta ad Al Qaeda e al terrorismo che si annida in Afghanistan
e al confine con il Pakistan. Annunciati aiuti economici anche al Pakistan. Queste
le priorità internazionali per il presidente Barack Obama, che ieri ha presentato
il suo programma per sconfiggere la rete di Bin Laden. Il capo della Casa Bianca ha
annunciato l’imminente rinforzo del contingente presente nel Paese asiatico. E’ lì
– ha detto Obama – che si gioca la sicurezza degli Stati Uniti e di tutta la comunità
internazionale. Immediato l’appoggio alle parole del presidente espresso dal segretario
generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e dai partner europei. Il servizio di Alessandro
Guarasci:
La strategia
di Obama prevede di inviare, in Afghanistan, altri 4 mila soldati per contribuire
a smantellare la rete terroristica di Bin Laden. Al Qaeda, infatti, starebbe preparando
un attacco dal Pakistan contro gli Stati Uniti. Parole, queste, giudicate in modo
positivo sia dal presidente afghano Karzai, sia dal ministro degli Esteri pakistano
Qureshi. Ai due Paesi gli Usa chiedono, quindi, di lavorare insieme contro il terrorismo,
e se Kabul dovrà progredire nella lotta alla corruzione e ai narcotrafficanti, Islamabad
dovrà dimostrare il suo impegno per sradicare Al Qaeda dal suo territorio; in cambio,
riceverà un miliardo e mezzo di dollari per cinque anni, necessari alla ricostruzione
di scuole, strade ed ospedali. Si darà vita – insieme all’Onu – ad un gruppo di contatto
per l’Afghanistan in Pakistan, allargato anche all’Iran. Accanto a questo, un maggiore
impegno militare: dunque, 4 mila soldati andranno – a giugno – ad unirsi ai 17 mila
aggiuntivi già annunciati lo scorso febbraio; accanto, ci saranno 9 mila civili.
E
sull’efficacia della strategia di Obama contro il terrorismo, Giancarlo La Vella
ha sentito Alberto Negri, inviato speciale del "Sole24Ore" ed esperto dell’area
asiatica:
R. – Il pregio
di questo piano di Obama, innanzitutto, è che ha molti aspetti integrati tra di loro;
uno è l’aspetto militare, evidentemente, l’aumento delle forze in campo sia degli
Stati Uniti che degli altri Paesi della Nato presenti in Afghanistan. Il secondo è
l’integrazione, appunto, con l’azione diplomatica che è molto importante. Insomma,
c'è il tentativo di sostenere sia i pakistani, sia gli afghani in questa guerra al
terrorismo e alla guerriglia talebana. L’altro aspetto integrato è appunto quello
degli aiuti economici e alla società civile; questo è un aspetto molto importante,
perché finora la ricostruzione ha segnato decisamente il passo ed è uno degli aspetti
fondamentali – sottolineati anche da Obama e dalla nuova amministrazione americana
– per tentare una stabilizzazione della regione.
D.
– Che cosa cambia rispetto all’epoca Bush?
R. – C'è
soprattutto una maggiore apertura diplomatica, che non è soltanto negoziare con il
nemico, cioè con gli Stati vicini – come l’Iran – che sono trent’anni che in qualche
modo si contrappongono a Washington e possono dare un contributo importante alla stabilizzazione
afghana. Si tratta addirittura di negoziare con gli stessi talebani, che in qualche
modo potrebbero essere disponibili ad un percorso diverso da quello della guerriglia
e della lotta armata.
D. – Un piano che vede ancora
una volta gli Stati Uniti protagonisti, ma che forse chiama ancora di più a raccolta
l’intera comunità internazionale, l’Europa in testa…
R.
– Certamente. Questo è l’approccio diverso dell’amministrazione Obama rispetto a quella
di Bush, cioè l’aspetto multilaterale sia nel coinvolgimento degli alleati nelle operazioni
militari e nell’aumento delle truppe, ma anche sul versante diplomatico; inoltre,
il nuovo approccio al negoziato ed al dialogo con quei Paesi – come l’Iran, la Siria,
come Mosca stessa, ecc. – che, in qualche modo, possono contribuire alla stabilizzazione
di una regione molto vasta.
D. – Riusciranno, gli
Stati Uniti di Barack Obama, a controllare tutte le crisi internazionali di questo
momento compresa quella israelo-palestinese?
R. –
Credo che ci si sia resi conto che, purtroppo, tutte queste crisi hanno un aspetto
globale, la cui soluzione non è certamente in mano soltanto agli Stati Uniti; tutte
queste crisi regionali hanno bisogno di un contributo molto vasto della comunità internazionale
per essere risolte. Si tratta di situazioni turbolente e annose, di nodi antichi,
che non possono essere comunque sciolti soltanto da una sola superpotenza, per quanto
importante, per quanto grande.