Il cardinale Tauran: precisare la nozione di reciprocità per salvaguardare i diritti
dei cattolici nei Paesi musulmani
“Libertà religiosa e reciprocità”: è il tema di grande attualità proposto oggi e domani
in un Convegno internazionale promosso dalla Facoltà di Diritto canonico della Pontificia
Università della Santa Croce, a Roma. Ad aprire stamane i lavori è stato il cardinale
Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso,
che ha indagato nel Magistero recente della Chiesa, da Giovanni XXIII a Benedetto
XVI, passando per i documenti conciliari. Il servizio di Roberta Gisotti.
Appare
opportuno che la Chiesa approfondisca il concetto di “reciprocità” in ambito “interreligioso”
e indichi “norme chiare” di “applicabilità”, cosi pure “i limiti invalicabili” da
tutelare “nei Paesi di tradizione musulmana”, e “le strade da percorrere” laddove
i cattolici soffrono ingiustamente. Queste le conclusioni del cardinale Jean–Louis
Tauran, dopo avere indagato nel suo intervento sul tema della reciprocità auspicando
che si possa superare una certa “frammentarietà”, “nota distintiva” negli interventi
di epoca conciliare e anche dopo.
Già accennava
Giovanni XXIII nella ‘Pacem in Terris’ alla “reciprocità di diritti e di doveri tra
persone diverse”. Mentre Paolo VI, collegava nell’‘Ecclesiam Suam’, la reciprocità
al dialogo interreligioso. Si parlerà poi nel Concilio di “reciproco rispetto della
dignità spirituale” e nella ‘Gaudium et Spes’ del compito della Chiesa di rispondere
agli interrogativi degli uomini “sulle loro relazioni reciproche”. Ancora Giovanni
Paolo II tratterà nella ‘Mulieris dignitatem’ della reciprocità dei rapporti uomo
donna e nella ‘Redemptoris missio’ del dialogo interreligioso in termini di “arrichimento
reciproco”, e in altri discorsi pubblici affermava la reciprocità in tutti i campi
nelle relazioni con l’islam, comprese le libertà fondamentali, specie quella religiosa.
Così come Benedetto XVI, in continuità con i predecessori sta insistendo sulla “necessità
di una vera reciprocità”, nei rapporti tra Chiesa ed Islam, “strettamente legata all’esigenza
di un più grande rispetto tra le parti”.
Ha infine
ricordato il cardinale Tauran, di avere lui stesso ripetuto ‘ad nauseam’ riferendosi
ad un preciso contesto – l’assenza di luoghi di culto cristiani in Arabia Saudita
- “che come i musulmani hanno diritto di poter pregare in moschee nei Paesi a maggioranza
cristiana” “nello stesso modo i cristiani hanno il diritto di avere i propri luoghi
di culto nei Paesi a maggioranza musulmana. E questo in nome del principio della reciprocità”,
di cui ha parlato Benedetto XVI segnando “senz’altro un progresso”, ma a tutt’oggi
manca – ha lamentato il capo del dicastero vaticano per il dialogo interreligioso
- “una illustrazione approfondita di tale principio”.
Partecipa
alla conferenza internazionale anche il direttore di AsiaNews padre Bernardo Cervellera.
Sergio Centofanti gli ha chiesto un commento sull’intervento del cardinale
Tauran:
R. – L’intervento
molto preciso del cardinale Tauran fa vedere che c’è una reciprocità di rapporto,
di amicizia, di accoglienza mutua in tutti gli aspetti della vita; dall’altra parte,
è anche un tentativo di confermare la reciprocità anche dal punto di vista giuridico,
direi, perché il problema è che ci sono da una parte i rapporti tra le religioni,
dall’altra parte anche i rapporti tra gli Stati. E, in qualche modo, gli Stati dovrebbero
garantire questa libertà di religione.
D. – A tutt’oggi,
qual è la situazione dei cristiani nei Paesi musulmani?
R.
– La situazione è abbastanza diversificata; comunque, resta il fatto che nella maggior
parte dei casi – e nel caso migliore – i cristiani sono come delle “comunità protette”,
nel senso che hanno la possibilità di una libertà di culto, ma la loro espressione
è molto controllata: missione ed evangelizzazione quasi impossibili, se non all’interno
del territorio delle parrocchie o all’interno delle Chiese, e proposte di tipo pubblico
ed espressività di tipo pubblico non esistono. Poi, ci sono i luoghi più difficili:
naturalmente l’Arabia Saudita, che non permette la costruzione di nessun luogo di
culto ed anche, di per sé, proibisce dei gesti di culto differenti dall’islam, anche
in privato. E’ vero che adesso qualche cosa sta cambiando: la polizia religiosa non
va più nelle case a prendere i cattolici o i protestanti e a metterli in prigione
perché hanno semplicemente un’icona oppure perché pregano tra di loro; però non c’è
ancora una struttura legale per difendere questo diritto. Poi, in questi ultimi tempi
– siccome c’è una grande crescita del fondamentalismo – i cattolici e i cristiani
sono spesso presi di mira come obiettivo del fondamentalismo e della distruzione;
noi ricordiamo le Chiese distrutte in Iraq, le Chiese distrutte in Indonesia, gli
attacchi contro i cristiani in Pakistan e in altri Paesi islamici.