L'Instrumentum laboris del Sinodo sull'Africa: l'impegno della Chiesa al fianco dei
più poveri e le sfide del neocolonialismo
Dopo il viaggio del Papa in Camerun e Angola, la Chiesa è sempre più proiettata verso
il Sinodo per l’Africa che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre in Vaticano. Il Papa, il
19 marzo scorso a Yaoundé, ha consegnato ufficialmente l’Instrumentum laboris ai presidenti
delle Conferenze episcopali del continente. Benedetto XVI ha auspicato che i lavori
dell’Assemblea sinodale possano far crescere la speranza per i popoli africani e
dare nuovo slancio evangelico e missionario al servizio della riconciliazione, della
giustizia e della pace, secondo quanto propone il tema del Sinodo. Sui contenuti del
documento di lavoro ascoltiamo il servizio di Sergio Centofanti.
L’Instrumentum
laboris mette in evidenza le luci e le ombre dell’Africa sottolineando che “il bene
che si fa è spesso più discreto ma più profondo del male bruciante e tragico riportato
dai media”. Tra le evoluzioni positive segnala l’emancipazione dalle dittature e lo
sviluppo “pur se timido di una cultura democratica” anche grazie all’importante e
riconosciuto ruolo delle Commissioni ecclesiali giustizia e pace. C’è poi la crescita
della cooperazione tra Paesi africani (Ua, Nepad, Maep) e, a livello spirituale, una
grande sete di Dio che vede l’aumento dei battezzati e la crescita delle vocazioni
sacerdotali e religiose, l’impegno dei catechisti, lo sviluppo di movimenti e associazioni
di laici cattolici, con comunità ecclesiali molto vivaci. E poi ancora la diffusione
delle università cattoliche e dei mass media d’ispirazione cristiana, soprattutto
le radio. Per non parlare dell’impegno della Chiesa nel campo della sanità con centri
e ospedali: in particolare contro l’Aids le strutture cattoliche coprono quasi il
30% del totale. Di contro è forte la denuncia di quelle “forze
internazionali” che sfruttano l’Africa: “fomentano le guerre con la vendita delle
armi. Sostengono poteri politici irrispettosi dei diritti umani e dei principi democratici
per assicurarsi, come contropartita, dei vantaggi economici”. “Le multinazionali
continuano ad invadere gradualmente il continente per appropriarsi delle risorse naturali.
Schiacciano le compagnie locali, acquistano migliaia d’ettari espropriando le popolazioni
delle loro terre, con la complicità dei dirigenti africani” causando anche gravi danni
all’ambiente. Il documento denuncia anche le modalità degli
aiuti internazionali che sono accompagnati “da condizioni inaccettabili” che indeboliscono
ulteriormente le economie africane e aumentano il “divario tra ricchi e poveri”. Tutto
questo mentre non vengono rispettate le promesse degli aiuti allo sviluppo, che continuano
a diminuire. C’è poi il capitolo agricolo con l’ingiustizia subita dai contadini che
sono costretti a vendere i propri prodotti a prezzi molto bassi. Denunciata anche
la vasta propaganda degli Ogm che secondo alcuni dovrebbero garantire la sicurezza
alimentare: è una tecnica invece – si legge – che “rischia di rovinare i piccoli coltivatori
e di sopprimere le loro semine tradizionali rendendoli dipendenti dalle società produttrici
di Ogm”. “La globalizzazione” – da una parte “tende ad emarginare
il continente africano”, dall’altra sta attuando “un processo organizzato di distruzione
dell’identità africana” e dei suoi tipici valori “di rispetto degli anziani, della
donna come madre, della cultura della solidarietà, dell’aiuto reciproco e dell’ospitalità,
dell’unità, della vita” provocando “la destrutturazione del tessuto familiare” e della
coesione sociale. “L’Africa è diventata vulnerabile di fronte all’invasione dei modelli
delle potenze militari ed economiche” che stanno imponendo “un unico modello culturale
e la negazione della vita” mentre “le società africane constatano, impotenti, la disgregazione
delle loro culture”. La Chiesa da parte sua vuole “far sentire
il grido dei poveri” schiacciati dalla “neo-colonizzazione”, lotta contro le ingiustizie,
la corruzione dilagante, lo sfruttamento e la violazione dei diritti dei bambini e
delle donne. Si tratta di una “missione profetica … spesso …bloccata dalla pressione
dei poteri” che utilizzano anche le sette cristiane per attaccare la Chiesa cattolica.
Le sette infatti predicano spesso un Vangelo disimpegnato, disinteressandosi delle
questioni sociali. Invece la Chiesa vuole essere “segno di contraddizione” e “voce
di chi non ha voce” “risvegliando le coscienze cristiane alla difesa dei diritti umani”.
L’Instrumentum laboris – di fronte a quanti sono interessati a far tacere la voce
dei cattolici - esorta ad avere “coraggio profetico” sulla scia di quanto dice Gesù
che prepara i discepoli “a vivere assieme a lui la persecuzione, gli insulti e ogni
sorta d’infamia” per causa sua. Il documento si conclude con
una preghiera alla “Madre di Dio, Protettrice dell’Africa” perché attraverso di Lei
i cristiani possano “essere testimoni del Signore Risorto” e diventare “sempre più
sale della terra e luce del mondo”. Sull’Instrumentum laboris ascoltiamo
padre Giulio Albanese, missionario comboniano, direttore di Popoli e Missione,
la rivista delle Pontificie Opere Missionarie, che ha seguito il Papa durante il suo
viaggio in Africa. L’intervista è di Sergio Centofanti:
R. – Si tratta,
a mio avviso, di uno strumento importantissimo, perché riesce davvero a coniugare
quella che è la spiritualità cristiana, con quelle che sono le istanze della vita
reale della gente. Ed è un’operazione estremamente importante, considerando - e questo
il Papa lo ha sottolineato a chiare lettere - che i veri cambiamenti, prima ancora
che avvenire e realizzarsi nella società in senso lato, devono avvenire nella comunità
cristiana. E’ la comunità cristiana che, metabolizzando il Vangelo, attraverso l’inculturazione,
poi deve essere sale della terra e luce per il mondo. D. – Dal
documento di lavoro emerge una grande vitalità della Chiesa in Africa... R.
– Sicuramente, basterebbe riflettere sulla straordinaria testimonianza sia del clero
locale che di tanti religiosi e missionari che, in questi anni, soprattutto in alcuni
scenari infuocati, sono stati davvero una sorta di forza di interposizione pacificatrice
tra gli opposti schieramenti. Poi, poco importa che questo sia avvenuto in un contesto
bellico e, o, nell’ambito di una baraccopoli alla periferia di questa o quella capitale.
La Chiesa in questi anni, non ha svolto solo un’attività solidale, ma devo dire ha
anche promosso la sussidiarietà, quel senso di corresponsabilità che deve essere sperimentato
dai fedeli laici. D. – Il documento è una forte denuncia di
quelle potenze che sfruttano l’Africa... R. – La percezione
dei vescovi africani, ma anche di tanti missionari è che purtroppo l’Africa rappresenti
ancora oggi un boccone prelibato. Sta di fatto che è un continente che galleggia sul
petrolio, con immense risorse minerarie, e la questione di fondo è che l’Africa viene
davvero sfruttata, è una terra di conquista. In fondo, il messaggio forte che si evince
dall’Instrumentum laboris è che le Afriche – io preferirei parlare al plurale, essendo
un grande continente, tre volte l’Europa – non sono povere, come dice qualcuno, ma
semmai sono impoverite. Le Afriche non chiedono la beneficenza, per intenderci, la
carità pelosa, ma invocano soprattutto giustizia. Di fatto, da una parte si dice “aiutiamo
le Afriche ad uscire dal sottosviluppo”, ma la questione di fondo è che sono più i
soldi che dalle Afriche vanno al nord del mondo, di quelli che dal nord del mondo
giungono nelle Afriche. D. – La Chiesa è impegnata per la giustizia,
per la pace, al fianco dei più poveri, eppure l’Instrumentum laboris denuncia che
è sottoposta a gravi attacchi. Chi è che vuol far tacere la voce della Chiesa? R.
– Diciamo che la presenza di tante comunità cristiane disseminate nel continente molte
volte è una presenza scomoda. Ma per quale motivo? Perché queste comunità sostengono
la gente e non è che si schierino con questo o quel potentato. Da questo punto di
vista vi è una grande attenzione, proprio perché questa è insita nel magistero sociale
della Chiesa, nei confronti dei diritti umani, della persona umana creata a immagine
e somiglianza di Dio. Ora, siccome, purtroppo, l’abbiamo visto in più circostanze,
a dettare le regole del gioco tante volte sono le oligarchie locali, gli interessi
di parte, legati soprattutto al business delle materie prime, ecco che allora tante
volte la presenza dei religiosi, dei missionari, in determinati contesti geostrategici,
è davvero visto, non solo con sospetto, ma sono presenze davvero scomode che, molte
volte, l’abbiamo visto, hanno determinato situazioni, fatti, episodi di vero e proprio
martirio. D. – L’Instrumentum vuole rilanciare la speranza in
Africa... R. – Sì, la speranza, che poi a pensarci bene è l’ottimismo
di Dio. Insomma, capire e comprendere che, comunque, con tutti i problemi, le difficoltà,
le questioni aperte che l’Africa si trascina dietro - quasi fossero una sorta di pesante
fardello - bisogna guardare al futuro con speranza, perché la storia del continente
africano è comunque storia di salvezza. Se manca questa prospettiva teologale, se
manca questa prospettiva evangelica, non andiamo da nessuna parte, e questo il Papa
l’ha fatto intendere chiaramente. I gesti di carità che si realizzano nell’ambito
della comunità cristiana, ma anche nella sua azione evangelizzatrice ad extra, sono
davvero segni di speranza, che fanno prefigurare davvero un futuro migliore.