Il ministro degli Esteri siriano Walid al Muallim è arrivato stamani a Baghdad per
una visita ufficiale che si protrarrà per alcuni giorni. Nell'autunno 2006, Damasco
e Baghdad hanno ufficialmente ripristinato i loro rapporti diplomatici, interrotti
nel 1980. Ieri, intanto, si è conclusa la storica visita del presidente turco Gul
a Baghdad, la prima di un capo di Stato turco in Iraq negli ultimi 33 anni. Sono questi
segnali di una progressiva stabilizzazione, come sottolinea il rappresentante del
segretario generale dell’ONU per l’Iraq, Staffan de Mistura, intervistato da
Alessandro Gisotti::
R. – Negli
ultimi sei mesi abbiamo visto progressi veramente straordinari nel campo dei contatti
regionali. Pensi all’ultima visita del segretario generale della Lega araba, Amr
Moussa, alla visita attuale del presidente turco. La Turchia è un Paese
importantissimo tra i vicini di casa dell’Iraq che ha sempre avuto un’attenzione particolare
verso la stabilità del Paese del Golfo. Le ambasciate aperte degli Emirati Arabi,
del Bahrein, del Qatar, dell’Egitto, della Siria, della Giordania e del Kuwait sono
tutte indicazioni in questa direzione. Tutti i vicini di casa dell’Iraq hanno un interesse
che sia stabile e unificato. Questo, devo dire, è un messaggio che aiuta anche gli
iracheni ad essere responsabili di questa stabilità.
D. – Lei è in Iraq
dal settembre del 2007, quali progressi ha registrato nel Paese, quali invece problemi
ancora irrisolti, e cosa sta facendo l’Onu al riguardo?
R.
– Nei progressi, un esempio emblematico è stato il progredire del processo democratico.
La prova del nove sono state le elezioni in gennaio provinciali in tutto l’Iraq. Abbiamo
avuto più di 14 mila candidati. Devo dire che è un risultato assolutamente rispettabile
in termini elettorali, cioè democratici. Gli iracheni hanno dimostrato di voler giocare
la carta democratica, elettorale, politica nella direzione del loro futuro. Il rischio
peggiore, principale, è che ci sia una tensione tra curdi e arabi all’interno dell’Iraq
per la questione di Kirkuk, da qui l’intenzione dell’Onu, come per la questione elettorale,
di contribuire come aveva fatto l’anno scorso, evitando il referendum e proponendo
invece delle formule politiche. Gli iracheni hanno bisogno di vedere un miglioramento
della loro qualità di vita in poche parole, elettricità, acqua, sanità e lavoro. Se
non c’è questo passaggio, visto che il Paese è ricco, c’è rischio di instabilità,
come in qualunque parte del mondo.
D. – Nonostante
il miglioramento delle condizioni sul terreno, la cronaca riferisce purtroppo spesso
di atti anche violenti contro la minoranza cristiana. Ci sono speranze, secondo lei,
che si raggiunga una convivenza pacifica tra le diverse realtà irachene...
R.
– Sì, ci sono, però debbono essere costantemente ricordate. I cristiani danno un contributo
fondamentale a quella che è l’economia, ma anche la capacità culturale e tradizionale.
Loro appartengono all’Iraq e vogliono continuare ad appartenere a questo Paese. Le
elezioni hanno dimostrato che i cristiani hanno il diritto di avere una quota e il
primo ministro ha insistito che ci sia una protezione nei loro confronti. Sono a rischio
e sono spesso preoccupati. Loro vogliono restare come in un mosaico: basta una pietra
che manchi e tutto il mosaico è rovinato.