Per il governo iracheno le violenze anticristiane a Mosul sarebbero finite
Appena un anno fa veniva ucciso in Iraq, insieme ai suoi compagni, l’arcivescovo di
Mosul, Paulos Faraj Rahho, il più noto, forse, dei 710 cristiani travolti dal vortice
omicida della persecuzione religiosa, martiri ricordati in una recente celebrazione
commemorativa, dal vescovo di Kirkuk mons. Louis Sako. Il loro sacrificio, ha detto
il presule, “è segno della trasfigurazione e resurrezione per la nostra Chiesa e il
nostro Paese”. Intanto, fonti governative hanno diffuso la notizia che le violenze
contro i cristiani sarebbero cessate. Il generale Abdul Karim Khalaf, alto funzionario
del ministero dell’Interno, ha garantito che “rimane solo da perseguire penalmente
ed eseguire i mandati di arresto per i criminali che hanno preso di mira i cristiani”,
pronunciando così un chiaro invito all’ottimismo, uno sforzo – almeno verbale – di
dimostrare come il piano speciale per la sicurezza, preparato dal governo alla fine
del 2008, abbia funzionato. Decisamente più cauto, informa Avvenire, il deputato Younadam
Kenna, leader del Movimento democratico assiro: “ Il conflitto fra curdi e arabi nella
città potrebbe riesplodere e le violenze non sono solo contro i cristiani”. Questa
pagina, prosegue, si potrà chiudere solo quando “saranno stati arrestati e processati
gli autori dei tremendi crimini dello scorso autunno”. (S.G.)