La Messa a Luanda. Benedetto XVI: chi annuncia Cristo non manca di rispetto alle altre
culture e credenze ma offre un messaggio di vita eterna. Liberare dalla paura degli
"stregoni"
Stamani il Papa ha presieduto la Messa con il clero, i movimenti ecclesiali e i catechisti
dell'Angola nella Chiesa di San Paolo a Luanda. Nell'omelia ha ribadito la necessità
dell'evangelizzazione: chi è convinto della sua fede per aver fatto l’esperienza che,
senza Cristo, la vita è incompleta - ha detto - deve essere convinto anche del fatto
di non mancare di rispetto a nessuno se annuncia il Vangelo. Benedetto XVI ha parlato
anche delle paure di tante persone che arrivano a condannare i bambini di strada e
i cosiddetti "stregoni". Ecco il testo integrale dell'omelia: Carissimi
fratelli e sorelle, Amati lavoratori della vigna del Signore! Come
abbiamo sentito, i figli d’Israele si dicevano l’un l’altro: «Affrettiamoci a conoscere
il Signore». Essi si rincuoravano con queste parole, mentre si vedevano sommersi dalle
tribolazioni. Queste erano cadute su di loro – spiega il profeta – perché vivevano
nell’ignoranza di Dio; il loro cuore era povero d’amore. E il solo medico in grado
di guarirlo era il Signore. Anzi, è stato proprio Lui, come buon medico, ad aprire
la ferita, affinché la piaga guarisse. E il popolo si decide: «Venite, ritorniamo
al Signore: Egli ci ha straziato ed Egli ci guarirà» (Os 6, 1). In questo modo hanno
potuto incrociarsi la miseria umana e la Misericordia divina, la quale null’altro
desidera se non accogliere i miseri. Lo vediamo nella pagina del Vangelo
proclamata: «Due uomini salirono al tempio a pregare»; di là, uno «tornò a casa sua
giustificato, a differenza dell’altro» (Lc 18, 10.14). Quest’ultimo aveva esposto
tutti i suoi meriti davanti a Dio, quasi facendo di Lui un suo debitore. In fondo,
egli non sentiva il bisogno di Dio, anche se Lo ringraziava per avergli concesso di
essere così perfetto e «non come questo pubblicano». Eppure sarà proprio il pubblicano
a scendere a casa sua giustificato. Consapevole dei suoi peccati, che lo fanno rimanere
a testa bassa – in realtà però egli è tutto proteso verso il Cielo –, egli aspetta
ogni cosa dal Signore: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18, 13). Egli bussa
alla porta della Misericordia, la quale si apre e lo giustifica, «perché – conclude
Gesù – chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18, 14). Di
questo Dio, ricco di Misericordia, ci parla per esperienza personale san Paolo, patrono
della città di Luanda e di questa stupenda chiesa, edificata quasi cinquant’anni fa.
Ho voluto sottolineare il bimillenario della nascita di san Paolo con il Giubileo
paolino in corso, allo scopo di imparare da lui a conoscere meglio Gesù Cristo. Ecco
la testimonianza che egli ci ha lasciato: «Questa parola è sicura e degna di essere
da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi
il primo sono io. Ma appunto per questo io ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo
ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, affinché «fossi di
esempio a quelli che avrebbero creduto in Lui per avere la vita eterna» (1 Tm 1, 15-16).
E, con il passare dei secoli, il numero dei raggiunti dalla grazia non ha cessato
di aumentare. Tu ed io siamo di loro. Rendiamo grazie a Dio perché ci ha chiamati
ad entrare in questa processione dei tempi per farci avanzare verso il futuro. Seguendo
coloro che hanno seguito Gesù, con loro seguiamo lo stesso Cristo e così entriamo
nella Luce. Cari fratelli e sorelle, provo una grande gioia nel trovarmi
oggi in mezzo a voi, miei compagni di giornata nella vigna del Signore; di questa
vi occupate con cura quotidiana preparando il vino della Misericordia divina e versandolo
poi sulle ferite del vostro popolo così tribolato. Mons. Gabriel Mbilingi si è fatto
interprete delle vostre speranze e fatiche nelle gentili parole di benvenuto che mi
ha rivolto. Con animo grato e pieno di speranza, vi saluto tutti – donne e uomini
dediti alla causa di Gesù Cristo – che qui vi trovate e quanti ne rappresentate: Vescovi,
presbiteri, consacrate e consacrati, seminaristi, catechisti, leaders dei più diversi
Movimenti e Associazioni di questa amata Chiesa di Dio. Desidero ricordare inoltre
le religiose contemplative, presenza invisibile ma estremamente feconda per i passi
di tutti noi. Mi sia permessa infine una parola particolare di saluto ai Salesiani
e ai fedeli di questa parrocchia di san Paolo che ci accolgono nella loro chiesa,
senza esitare per questo a cederci il posto che abitualmente spetta ad essi nell’assemblea
liturgica. Ho saputo che si trovano radunati nel campo adiacente e spero, al termine
di quest’Eucaristia, di poterli vedere e benedire, ma fin d’ora dico loro: «Grazie
tante! Dio susciti in mezzo a voi e per mezzo vostro tanti apostoli nella scia del
vostro Patrono». Fondamentale nella vita di Paolo è stato il suo incontro
con Gesù, quando camminava per la strada verso Damasco: Cristo gli appare come luce
abbagliante, gli parla, lo conquista. L’apostolo ha visto Gesù risorto, ossia l’uomo
nella sua statura perfetta. Quindi si verifica in lui un’inversione di prospettiva,
ed egli giunge a vedere ogni cosa a partire da questa statura finale dell’uomo in
Gesù: ciò che prima gli sembrava essenziale e fondamentale, adesso per lui non vale
più della «spazzatura»; non è più «guadagno» ma perdita, perché ora conta soltanto
la vita in Cristo (cfr Fl 3, 7-8). Non si tratta di semplice maturazione dell’«io»
di Paolo, ma di morte a se stesso e di risurrezione in Cristo: è morta in lui una
forma di esistenza; una forma nuova è nata in lui con Gesù risorto. Miei
fratelli e amici, «affrettiamoci a conoscere il Signore» risorto! Come sapete, Gesù,
uomo perfetto, è anche il nostro vero Dio. In Lui, Dio è diventato visibile ai nostri
occhi, per farci partecipi della sua vita divina. In questo modo, viene inaugurata
con Lui una nuova dimensione dell’essere, della vita, nella quale viene integrata
anche la materia e mediante la quale sorge un mondo nuovo. Ma questo salto di qualità
della storia universale che Gesù ha compiuto al nostro posto e per noi, in concreto
come raggiunge l’essere umano, permeando la sua vita e trascinandola verso l’Alto?
Raggiunge ciascuno di noi attraverso la fede e il Battesimo. Infatti, questo sacramento
è morte e risurrezione, trasformazione in una vita nuova, a tal punto che la persona
battezzata può affermare con Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me»
(Gl 2, 20). Vivo io, ma già non più io. In certo modo, mi viene tolto il mio io, e
viene integrato in un Io più grande; ho ancora il mio io, ma trasformato e aperto
agli altri mediante il mio inserimento nell’Altro: in Cristo, acquisto il mio nuovo
spazio di vita. Che cosa è dunque avvenuto di noi? Risponde Paolo: Voi siete diventati
uno in Cristo Gesù (cfr Gl 3, 28). E, mediante questo nostro essere cristificato
per opera e grazia dello Spirito di Dio, pian piano si va completando la gestazione
del Corpo di Cristo lungo la storia. In questo momento, mi piace andare col pensiero
indietro di cinquecento anni, ossia agli anni 1506 e seguenti, quando in queste terre,
allora visitate dai portoghesi, venne costituito il primo regno cristiano sub-sahariano,
grazie alla fede e alla determinazione del re Dom Afonso I Mbemba-a-Nzinga, che regnò
dal menzionato anno 1506 fino al 1543, anno in cui morì; il regno rimase ufficialmente
cattolico dal secolo XVI fino al XVIII, con un proprio ambasciatore in Roma. Vedete
come due etnie tanto diverse – quella banta e quella lusiade – hanno potuto trovare
nella religione cristiana una piattaforma d’intesa, e si sono impegnate poi perché
quest’intesa durasse a lungo e le divergenze – ce ne sono state, e di gravi – non
separassero i due regni! Di fatto, il Battesimo fa sì che tutti i credenti siano uno
in Cristo. Oggi spetta a voi, fratelli e sorelle, sulla scia
di quegli eroici e santi messaggeri di Dio, offrire Cristo risorto ai vostri concittadini.
Tanti di loro vivono nella paura degli spiriti, dei poteri nefasti da cui si credono
minacciati; disorientati, arrivano al punto di condannare bambini della strada e anche
i più anziani, perché – dicono – sono stregoni. Chi può recarsi da loro ad annunziare
che Cristo ha vinto la morte e tutti quegli oscuri poteri (cfr Ef 1, 19-23; 6, 10-12)?
Qualcuno obietta: «Perché non li lasciamo in pace? Essi hanno la loro verità; e noi,
la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com’è, perché realizzi
nel modo migliore la propria autenticità». Ma, se noi siamo convinti e abbiamo fatto
l’esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la
realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia
a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo
modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo
farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita
eterna. Venerati e amati fratelli e sorelle, diciamo loro come
il popolo israelita: «Venite, ritorniamo al Signore: Egli ci ha straziato ed Egli
ci guarirà». Aiutiamo la miseria umana ad incontrarsi con la Misericordia divina.
Il Signore fa di noi i suoi amici, Egli si affida a noi, ci consegna il suo Corpo
nell’Eucaristia, ci affida la sua Chiesa. E allora dobbiamo essere davvero suoi amici,
avere un solo sentire con Lui, volere ciò che Egli vuole e non volere ciò che Egli
non vuole. Gesù stesso ha detto: «Voi siete miei amici, se farete ciò che Io vi comando»
(Gv 15, 14). Sia questo il nostro impegno comune: fare, tutti insieme,
la sua santa volontà: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura»
(Mc 16, 15). Abbracciamo la sua volontà, come ha fatto san Paolo: «Predicare il Vangelo
(…) è un dovere per me: guai a me se non annuncio il Vangelo!»(1
Cr 9, 16).